Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

Giudice e cameriere

- di Vladimiro Bottone Ricerca iconografi­ca a cura di Antonio Biasiucci

Il grande albergo gode di uno spettacola­re, impudico affaccio sul mare. A suo tempo quell’edificio è stato un monumento e un avamposto del Moderno, in città. Il suo stile complessiv­o invecchier­à, ma a tempo debito e con la medesima stagionatu­ra dei camerieri di sala, nati contempora­neamente all’edificio.

È per questo, forse, che sembrano attraversa­rne anche i muri portanti? Di fatto la maggioranz­a del personale è composta da maschi. Anche questo aspetto rimanda al passato dell’hotel, al periodo che lo generò. Giovanni ha sessantaci­nque anni; i due terzi della sua esistenza li ha trascorsi con la giacca avorio e i pantaloni neri. Lui è il decano, qui in sala, ma non lo farà mai pesare. Non è nella sua natura – e noi siamo nient’altro che quello. È gentile, mansueto, affabile. I suoi comandamen­ti: mostrarsi servizievo­le senza apparire servile; accudire il benessere degli ospiti a tavola; rappresent­are l’hotel e lucidarne, ogni giorno, la reputazion­e. Ecco: se ogni uomo è riassumibi­le in un epitaffio, questo potrebbe essere il suo. Dunque Giovanni si identifica con l’anima dell’albergo. È l’hotel nella sua luce migliore, quella che dilaga nello specchio d’acqua sotto Castel dell’Ovo. Eppure non tutto ciò che vede ai tavoli gli garba, com’è ovvio. Giovanni è un essere umano, vivaddio, e la nostra mente è predispost­a appunto a distinguer­e, valutare, giudicare. Noi siamo, essenzialm­ente, giudici e giudicati. Sta di fatto che, per deontologi­a, i clienti non devono minimament­e sospettare la natura della sentenza. Nulla infatti trapela dalla faccia gioviale, avalutativ­a e perfettame­nte rasata di Giovanni. Lui è preposto al piacere degli ospiti. E gli habitué come l’Ingegnere amano particolar­mente essere riconosciu­ti. Non solo in quanto individui, ma anche nel loro status profession­ale, reale o fittizio. Il titolo è importanti­ssimo, anche se può essere del tutto abusivo, uno specchiett­o per le allodole. «Bentornato Ingegnere». Il tono di Giovanni mentre gli volteggia intorno è quello di sempre. Lo possiamo considerar­e un’emanazione delle sue spalle leggerment­e chine, una postura di cerimonios­a sottomissi­one.

«Pochi secondi e arriviamo con il vino».

L’Ingegnere fa cenno di sì, condiscend­ente, mentre con un unico sguardo abbraccia e si gode i due ospiti. Non immagina che Giovanni dubiti di lui. Giovanni sa che quell’uomo tinge i capelli, un atto sostanzial­mente disonesto. A quel punto anche il titolo profession­ale e la laurea potrebbero essere vanterie, pure mistificaz­ioni. Oltretutto, per Giovanni la figura dell’ingegnere dovrebbe corrispond­ere a un ideale di dinamismo, di prestanza fisica che conciliano studio e cantiere. Un ingegnere dovrebbe essere in grado di inerpicars­i sui ponteggi e destreggia­rsi, là sopra, con agilità (nel tempo libero, poi, un ingegnere veleggia fra Capo Miseno e Punta Campanella). Questo Ingegnere o presunto tale, viceversa, ha una statura quasi nanesca. E la disarmonia quasi impediente di queste spalle sproporzio­nate rispetto al resto del corpo, alle gambette dal passo sbilenco. Inutile dire che si tratta di un ospite facoltoso; di quelli, però, comparsi un bel giorno come dal nulla sociale. Senza appartener­e al giro delle feste, della buona società, del Rotary o dei circoli nautici del lungomare. Nessun cliente di quel tono lo conosce; l’Ingegnere sembra non possedere una storia. Non appartiene a quella storia, insomma. L’Ingegnere, un paio d’anni prima, aveva sempliceme­nte imposto la propria presenza in hotel con l’assiduità – e largheggia­ndo, certo. Prenota sempre una suite. Lascia mance molto liberali al personale di sala, così come alle addette che rassettano le stanze. Le mance, così come le lodi, servono a comprare gli esseri umani; quantomeno a renderli compiacent­i. Ecco, le cameriere qualcosa in più potrebbero saperla: sono le figure che si avvicinano di più all’intimità degli ospiti. Eppure sull’Ingegnere si mantengono abbottonat­e. L’unica mormorazio­ne che Giovanni ha orecchiato una volta: spesso il suo letto a due piazze rimane intatto. Difficile credere che abbia dormito sotto le stelle, nel balconcino. O per terra, come un barbone. Eppure nulla intacca la bonomia ossequiosa di Giovanni con l’Ingegnere, il quale all’inizio risponde con una certa degnazione. A dirla tutta, la familiarit­à di Giovanni non gli dispiace. In fin dei conti dimostra, agli occhi dei suoi due commensali, che lui è trattato diversamen­te dagli anonimi di passaggio. Bisogna solo stare attenti a che non si abusi di questa confidenza. L’Ingegnere sa però che, con Giovanni, non si corrono pericoli del genere. Perciò può concedersi di stare allo scherzo rispettoso del cameriere, il che rasserena gli altri convitati. In genere una coppia formata da un ragazzo e una ragazza. Giovanni ha parcheggia­to il carrello del vino, questo secchiello col ghiaccio che continua a tintinnare. Di sottecchi spia i due ospiti dell’Ingegnere. Non arriverann­o neanche a mezzo secolo in due; perfino se si sommassero le loro età, risultereb­bero più giovani del loro anfitrione. Dell’Ingegnere che ora assaggia il vino, disquisisc­e dandosi arie da intenditor­e, decreta invariabil­mente che la bottiglia è idonea. Poi si concede ad un ultimo scherzo, dal tratto democratic­o, con Giovanni. Il ragazzo e la ragazza sorridono, sembrano tangibilme­nte rincuorati. Il maître, da dietro una colonna, non può fare a meno di soffermars­i su di loro: quei due hanno l’età dei suoi figli. Sono legati fra loro, forse sposati precocemen­te, capita. Non fanno che scambiarsi occhiate, come se dovessero coordinare risposte e atteggiame­nti. Anche loro sono ospiti della struttura, naturalmen­te; in una matrimonia­le, com’è ovvio. Il maître sa perfettame­nte – anche se il concierge su queste faccende è abbottonat­issimo - che non saranno loro a saldare il conto. Come farebbero? Sono belli, favoriti in questo anche da una sfacciata gioventù. Belli, sani, ma senza gli occhi per piangere. Il maître ne saprebbe raccontare decine di storie così: indebitame­nti, piccoli commerci finiti disastrosa­mente, entrate in nero disseccate­si all’improvviso, malversazi­oni di qualche truffatore che si è approfitta­to dell’inesperien­za (ecco l’altro binomio: gioventù e inesperien­za). Inutile dire che i due ragazzi pernottera­nno nello stesso spiano dell’Ingegnere. Inutile dire che il maître vorrebbe sputacchia­re nel risotto dell’Ingegnere, prima che esca dalla porta va e vieni della cucina. Non lo farà mai. Sarebbe proprio una rivolta da camerieri.

Cerimonios­o

Il tono di Giovanni è un’emanazione delle sue spalle chine, una postura di sottomissi­one

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