Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
Pierfrancesco, un brillante avvenire dietro le spalle
Fa l’avvocato, scrive per passione (saggi e racconti), ma non ha mai pubblicato un legal thriller. E già questa è una notizia di fronte al proliferare di uomini di legge che sono diventati famosi come autori di gialli giudiziari e romanzi criminali. Peraltro, a Cesare Paradiso, che nella sua Taranto si occupa soprattutto di diritto civile e di famiglia, interessano poco i tipi intrepidi. E, infatti, Pierfrancesco Molinaris, il protagonista del suo ultimo romanzo, Come margherite, è il prototipo dell’antieroe. Edito dalla salentina Manni, per la quale Paradiso aveva pubblicato negli anni passati i racconti Lo studio dell’avvocato (2015) e il romanzo Sull’altra riva (2018), il libro propone al lettore il «lato avventuroso della normalità», per dirla con lo stesso autore.
Pierfrancesco da giovane è brillante e intelligente. Magari a scuola non è un fulmine, però sa muoversi bene. Con di sinistra e un’adorazione per Berlinguer - che il padre anticomunista vede con preoccupazione -, ha tanti amici. E le passioni, oltre a quella per la politica, portata avanti con una militanza incerta, non mancano. La sua famiglia è benestante, forse anche di più. E l’ambiente nel quale si destreggia nei primi anni Settanta appare sano, in una Taranto ancora molto provinciale, quasi estranea alle turbolenze del periodo. Il futuro di Pierfrancesco sembra segnato. Anche se la sua felicità potrebbe nel tempo sconfinare proprio nella normalità di cui parla l’autore, e nella quale è molto facile sprofondare. Ma le cose si metteranno peggio. Perché a un certo punto la fortuna deciderà di voltare le spalle al protagonista.
Un incidente in motocicletta lascerà segni profondi. E dopo il liceo Pierfrancesco si ritroverà a vivere una vita scialba e senza ambizioni, tra fallimenti sentimentali (un matrimonio sbagliato dal quale è nato un figlio), guai giudiziari per reati di cui non ha quasi nemmeno coscienza e la conseguente perdita del lavoro, un impiego come commesso in banca, dov’è stato piazzato dal padre assicuratore e dove non riuscirà mai a salire nemmeno un gradino della scala di una possibile ascesa professionale. Insomma, Pierfrancesco resterà aggrappato alla propria esistenza come si avvinghiano al terreno le margherite del titolo, fiori tra i più forti, capaci di adattarsi a molti terreni e sopportare le intemperie. Fiori semplici, senza pretese. Come Pierfrancesco, sbocciato come una margherita che nessuno ha mai veramente raccolto durante la sua anonima traiettoria. Una parabola che prenderà un’incontrollabile accelerazione verso il basso, trasportando Pierfrancesco nei meandri di una povertà difficilmente pronosticabile un tempo, dove gli ultimi riescono comunque a vivere quel che la vita offre loro mantenendo una propria dignità.
Ma il libro è soprattutto una fotografia della borghesia tarantina, che l’autore fa trasparire inerte al pari dell’esistenza di Pierfrancesco, raccontata con una prosa forse non a caso priva di dialoghi - la bussola dell’agire, per uno scrittore - nonostante una gran quantità di personaggi coinvolti. Come margherite risulta, infatti, il ritratto corale di una generazione di provincia che nel pieno della maturità si ritrova a confrontarsi non solo con le proprie ferite, ma anche con le proprie delusioni, i propri divorzi, i propri rimpianti, dentro un clima di malinconica nostalgia per gli anni della gioventù, quando si nutrivano speranze che il tempo, inesorabile, ha fatto svanire.