Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
«Sindacabili le accuse» Barbara Lezzi va a processo
LECCE La senatrice grillina Barbara Lezzi non potrà beneficiare dell’insindacabilità riconosciuta ai parlamentari, andando a processo per presunta diffamazione, a Bari, nell’aula del giudice di pace, dove è stata trascinata dal dissidente pentastellato Massimo Potenza. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione a cui si er rivolto Potenza, unitosi, nel frattempo, alla schiera dei militanti che hanno pronunciato abiura al partito. E ciò per ottenere il massimo sigillo giurisdizionale sull’impropria invocazione dell’insindacabilità da parte della senatrice, come scudo di fronte all’insidia giudiziaria rappresentata dalle pesanti contestazioni mosse nei suoi confronti.
La parlamentare leccese era andata a giudizio per i presunti comportamenti diffamatori ai danni di Potenza, risalenti al 2016, ottenendo, in prima battuta, dal giudice di pace il beneficio contemplato dall’articolo 68 della Costituzione. Per l’appunto, l’insindacabilità degli atti dei parlamentari: «I membri del Parlamento non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell’esercizio delle loro funzioni». Ebbene, la Suprema Corte ha annullato la sentenza impugnata, con rinvio per un nuovo esame al giudice di pace. Prima di approdare davanti alla Suprema Corte, la vicenda era stata esaminata dalla Procura generale della Repubblica presso la Corte di Appello di Bari che aveva accolto la richiesta di Massimo Potenza, affiancandolo, peraltro, nel ricorso davanti ai giudici del «Palazzaccio». È seguito il pronunciamento del procuratore generale della Corte di Cassazione che ha accolto il ricorso di Massimo Potenza, difeso dall’avvocato Pompeo Demitri, per l’annullamento della controversa sentenza che, come commenta lo stesso legale, «sembrava scambiare l’altissima prerogativa di rango costituzionale, con un odioso privilegio di casta». Uno di quei privilegi che proprio i pentastellati vorrebbero cancellare uniformandosi alla regola aurea secondo cui «l’uno vale uno».