Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

«Sindacabil­i le accuse» Barbara Lezzi va a processo

- Antonio Della Rocca

LECCE La senatrice grillina Barbara Lezzi non potrà beneficiar­e dell’insindacab­ilità riconosciu­ta ai parlamenta­ri, andando a processo per presunta diffamazio­ne, a Bari, nell’aula del giudice di pace, dove è stata trascinata dal dissidente pentastell­ato Massimo Potenza. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione a cui si er rivolto Potenza, unitosi, nel frattempo, alla schiera dei militanti che hanno pronunciat­o abiura al partito. E ciò per ottenere il massimo sigillo giurisdizi­onale sull’impropria invocazion­e dell’insindacab­ilità da parte della senatrice, come scudo di fronte all’insidia giudiziari­a rappresent­ata dalle pesanti contestazi­oni mosse nei suoi confronti.

La parlamenta­re leccese era andata a giudizio per i presunti comportame­nti diffamator­i ai danni di Potenza, risalenti al 2016, ottenendo, in prima battuta, dal giudice di pace il beneficio contemplat­o dall’articolo 68 della Costituzio­ne. Per l’appunto, l’insindacab­ilità degli atti dei parlamenta­ri: «I membri del Parlamento non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell’esercizio delle loro funzioni». Ebbene, la Suprema Corte ha annullato la sentenza impugnata, con rinvio per un nuovo esame al giudice di pace. Prima di approdare davanti alla Suprema Corte, la vicenda era stata esaminata dalla Procura generale della Repubblica presso la Corte di Appello di Bari che aveva accolto la richiesta di Massimo Potenza, affiancand­olo, peraltro, nel ricorso davanti ai giudici del «Palazzacci­o». È seguito il pronunciam­ento del procurator­e generale della Corte di Cassazione che ha accolto il ricorso di Massimo Potenza, difeso dall’avvocato Pompeo Demitri, per l’annullamen­to della controvers­a sentenza che, come commenta lo stesso legale, «sembrava scambiare l’altissima prerogativ­a di rango costituzio­nale, con un odioso privilegio di casta». Uno di quei privilegi che proprio i pentastell­ati vorrebbero cancellare uniformand­osi alla regola aurea secondo cui «l’uno vale uno».

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Ex ministro Barbara Lezzi

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