Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
SORPRESI PER CHI SI STUPISCE
Lo scandalo dell’ex gip del Tribunale di Bari arrestato due volte, la prima con l’accusa di tangenti in cambio di sentenze e la seconda per traffico d’armi, non fa quasi notizia. Sono i giorni delle rivelazioni dell’avvocato siciliano Piero Amara su una loggia interna alla magistratura, che a loro volta fanno seguito a quelle dell’ex big del Csm, Luca Palamara, che a lorio volta...
Ciò che stupisce è che qualcuno ancora si stupisca, e si strappi le vesti per il santuario infangato. Come se fosse una novità l’anomalia di una categoria di funzionari statali che dovrebbe presidiare la legalità e invece si fa corporazione politica. I problemi sono noti da oltre tre decenni, da quei referendum sulla «giustizia giusta» promossi da radicali socialisti e liberali, che furono vinti nelle urne ma traditi dal Parlamento. L’Anm partito fra i partiti, l’indipendenza e l’autonomia come foglia di fico per l’insindacabilità, il Csm gestito dalle correnti, la terzietà del giudice e il sistema accusatorio due incompiute. Per tre decenni la sinistra si è accomodata nel ruolo di ruota di scorta del partito dei pm. Nel gennaio 2002, il senatore leccese Giovanni Pellegrino così ammoniva i compagni: «Non seguite i giudici. Una sinistra europea non può difendere un sistema giudiziario così inidoneo». Non sapeva ancora che questa deriva si sarebbe spinta tanto avanti da produrre un giustizialismo di governo premiato nel 2018 dalla maggioranza assoluta dei voti (Cinque Stelle e Lega).
Il cortocircuito politica-giustizia è il peccato originale della Seconda Repubblica. Se la Prima nacque dalla Resistenza, e quindi da un tessuto solido e nobile di valori comuni, la Seconda si fondò su una rivoluzione giudiziaria che per anni ha sospeso la rappresentanza politica e lo Stato di diritto, cancellando interi partiti e creandone di nuovi, ispirando o bocciando le leggi, tenendo sotto scacco il Parlamento e la grande stampa.
Nei primi anni ’90, poche toghe politicizzate e/o ansiose di protagonismo presero il sopravvento sulla stragrande maggioranza di magistrati che svolgevano (e svolgono) il loro lavoro in modo rigoroso e fuori dai riflettori. Fu allora che i nuovi eroi, spalleggiati dai grandi gruppi editoriali, decisero che il loro compito non era applicare la legge, che anzi andava forzata fino all’inverosimile, ma riscrivere la storia d’Italia. Molti dei pm d’assalto trovarono poi spazio in Parlamento, altra distorsione che non fu neppure la peggiore. I guai seri arrivarono quando i più scaltri capirono che del Parlamento è meglio farne uso che farne parte. È, semplicemente, storia di oggi.