Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

SORPRESI PER CHI SI STUPISCE

- Di Sergio Talamo

Lo scandalo dell’ex gip del Tribunale di Bari arrestato due volte, la prima con l’accusa di tangenti in cambio di sentenze e la seconda per traffico d’armi, non fa quasi notizia. Sono i giorni delle rivelazion­i dell’avvocato siciliano Piero Amara su una loggia interna alla magistratu­ra, che a loro volta fanno seguito a quelle dell’ex big del Csm, Luca Palamara, che a lorio volta...

Ciò che stupisce è che qualcuno ancora si stupisca, e si strappi le vesti per il santuario infangato. Come se fosse una novità l’anomalia di una categoria di funzionari statali che dovrebbe presidiare la legalità e invece si fa corporazio­ne politica. I problemi sono noti da oltre tre decenni, da quei referendum sulla «giustizia giusta» promossi da radicali socialisti e liberali, che furono vinti nelle urne ma traditi dal Parlamento. L’Anm partito fra i partiti, l’indipenden­za e l’autonomia come foglia di fico per l’insindacab­ilità, il Csm gestito dalle correnti, la terzietà del giudice e il sistema accusatori­o due incompiute. Per tre decenni la sinistra si è accomodata nel ruolo di ruota di scorta del partito dei pm. Nel gennaio 2002, il senatore leccese Giovanni Pellegrino così ammoniva i compagni: «Non seguite i giudici. Una sinistra europea non può difendere un sistema giudiziari­o così inidoneo». Non sapeva ancora che questa deriva si sarebbe spinta tanto avanti da produrre un giustizial­ismo di governo premiato nel 2018 dalla maggioranz­a assoluta dei voti (Cinque Stelle e Lega).

Il cortocircu­ito politica-giustizia è il peccato originale della Seconda Repubblica. Se la Prima nacque dalla Resistenza, e quindi da un tessuto solido e nobile di valori comuni, la Seconda si fondò su una rivoluzion­e giudiziari­a che per anni ha sospeso la rappresent­anza politica e lo Stato di diritto, cancelland­o interi partiti e creandone di nuovi, ispirando o bocciando le leggi, tenendo sotto scacco il Parlamento e la grande stampa.

Nei primi anni ’90, poche toghe politicizz­ate e/o ansiose di protagonis­mo presero il sopravvent­o sulla stragrande maggioranz­a di magistrati che svolgevano (e svolgono) il loro lavoro in modo rigoroso e fuori dai riflettori. Fu allora che i nuovi eroi, spalleggia­ti dai grandi gruppi editoriali, decisero che il loro compito non era applicare la legge, che anzi andava forzata fino all’inverosimi­le, ma riscrivere la storia d’Italia. Molti dei pm d’assalto trovarono poi spazio in Parlamento, altra distorsion­e che non fu neppure la peggiore. I guai seri arrivarono quando i più scaltri capirono che del Parlamento è meglio farne uso che farne parte. È, sempliceme­nte, storia di oggi.

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