Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

Un’onta lunga 10 anni

L’asse tra Semeraro e Quarta, l’autogol volontario di Masiello Il 15 maggio 2011 si giocò il derby della combine tra Bari e Lecce I due allenatori di allora ricordano la partita della vergogna

- Pasquale Caputi

BARI Era il 15 maggio 2011. Esattament­e dieci anni fa. Andava in scena Bari-Lecce, il derby dei derby, penultima gara di campionato. Biancoross­i retrocessi da tempo, salentini a caccia della salvezza. Sulla carta, una distanza siderale di motivazion­i. Di fatto, sempre un derby. Dopo un primo tempo equilibrat­o accade l’imponderab­ile: prima il vantaggio del Lecce con Jeda. Poi, a 11 minuti dalla fine, un innocuo diagonale del brasiliano viene spinto in rete da Andrea Masiello. Gli sviluppi degli anni a seguire avrebbero dimostrato che quel tocco non fu un incidente di percorso, ma il risultato di una combine. E ancora oggi l’onta di quell’episodio infanga due piazze. «Un decennio che non voglio celebrare – afferma Bortolo Mutti, allenatore del Bari dell’epoca – ogni volta che ci ripenso, mi riempio di amarezza. Qualcuno dimenticò i valori di sport e vita. Accadde peraltro davanti a Matarrese. Il presidente era venuto a incoraggia­rci. Voleva che finissimo con dignità e profession­alità il nostro lavoro. Sappiamo bene invece cosa accadde». La giustizia sportiva fece il suo corso, quella penale pure, con le sentenze, confermate anche in appello e dalla Cassazione, per l’ex presidente del Lecce Pierandrea Semeraro e dell’imprendito­re Carlo Quarta. Entrambi furono condannati per frode sportiva a un anno e mezzo (pena sospesa). Patteggiar­ono molto prima invece Andrea Masiello (un anno e dieci mesi) e gli amici scommettit­ori Gianni Carella e Fabio Giacobbe (un anno e cinque mesi). «Le sensazioni che avvertii quel giorno? – prosegue Mutti – cercammo di fare il possibile, con i limiti nostri e della nostra classifica. Abbiamo sempre giocato a testa alta, ma qualcuno ci ha traditi». Mutti giunse in Puglia per traghettar­e il Bari nel contesto di un’annata maledetta, naufragata già da tempo. Ma nessuno avrebbe mai immaginato che si sarebbe arrivati a tanto. «Avevamo combattuto orgogliosa­mente su tutti i campi – conclude – ci avevano quasi picchiato in precedenza per aver vinto pur non dovendo chiedere nulla alla classifica. Il Bari oggi? Gli auguro di tornare nel calcio che merita, è una grande piazza».

Dall’altra parte il Lecce di De Canio. Voleva e doveva vincere a tutti i costi. Lo fece. E per questo, a distanza di tempo, non tutti accettano supinament­e la tesi per cui quella salvezza fu “finta”. «Per me fu una partita vera, verissima, come tutti i derby – dice De Canio, tecnico dei salentini in quel torneo – eravamo ferocement­e determinat­i a vincere. Sapevamo che, per la rivalità tipica del derby, avremmo trovato una squadra agguerrita, per quanto retrocessa. Ma eravamo sicuri che prima o poi le motivazion­i scemate avrebbero potuto fare la differenza, se fossimo stati bravi ad approfitta­rne». Per De Canio, poi, non era un match normale. All’andata il Lecce aveva perso, lui era stato contestato dalla società, a un passo dall’esonero. «Personalme­nte ero carico anche per questo – prosegue – non a caso il martedì successivo a quella vittoria andai in sede, memore di ciò che successe all’andata, e diedi le dimissioni, rinunciand­o a due anni di contratto. Fu partita vera e lo dimostra il fatto che ci fu anche un giocatore che si ruppe il crociato. Ciò che ha detto dopo Masiello mi ha sorpreso. Certo, se un giocatore si autodenunc­ia, da parte sua c’è stata evidenteme­nte quell’idea. Ma non cambia ciò che penso: ci salvammo con merito sul campo».

Mutti Qualcuno ci tradì sotto gli occhi di Matarrese, che prima della sfida venne negli spogliatoi a caricarci

De Canio Resto dell’idea che comunque fu una gara vera. La nostra salvezza era meritata

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