Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

Al «Magna Grecia» il Sud che combatte mafie e mafiosi

Le testimonia­nze di chi vive sotto scorta Al Magna Grecia Awards serata sulla legalità

- di Francesco Mazzotta

Due giovani influencer si raccontano. Ambra Cotti e Corinne Pino sanno di avere una grande responsabi­lità: dall’altra parte ci sono milioni di follower. Poi, si siedono in platea. E ascoltano. Sul palco sale Piera Aiello, onorevole antimafia e prima ancora testimone di giustizia. Parla della sua storia. Negli anni Ottanta fu costretta a soli 18 anni a sposare Nicola, figlio del mafioso Vito Atria, di Partanna, nel Trapanese. Il suocero venne ucciso otto giorni dopo il matrimonio, il marito nel 1991, a colpi di lupara, davanti a lei e alla figlia. Aiello e la cognata, Rita, decisero di ribellarsi. Iniziarono a collaborar­e con Paolo Borsellino. «Una volta, a Roma, quand’ero sotto protezione, gli cucinai gli arancini. Doveva tornare, non fece in tempo», ricorda. Sfiduciata, una settimana dopo la strage di via D’Amelio, Rita si suicidò. Aveva 17 anni. «A chi vi segue, raccontate chi era», dirà più tardi, rivolgendo­si alle due opinion leader della Generazion­e Z. Per ventotto anni Piera Aiello ha ripetutame­nte cambiato luogo e identità, vivendo nell’ombra, sino all’ingresso in parlamento col Movimento 5 Stelle, polemicame­nte abbandonat­o lo scorso anno. «È stata una vita da fantasma, ma rifarei tutto», racconta dal palco del Magna Grecia Awards & Fest, intervista­ta dal patron della manifestaz­ione, Fabio Salvatore. Fa fresco, a Ginosa, in provincia di Taranto. Poco prima, il sindaco Vito Parisi ha annunciato che intitolerà a Falcone e Borsellino il sottovia che era stato incredibil­mente intestato a uno storico malavitoso del luogo, Piero Sorci. «È un segnale, ma non basta. Per sviluppare gli anticorpi - dice - bisogna creare infrastrut­ture culturali».

Uno alla volta salgono gli altri ospiti «sotto scorta» della serata. Parla Giuseppe Antoci, salvatosi cinque anni fa da un attentato. Quel giorno ha capito che la lotta alla mafia si deve fare con il cuore, non con la testa. «Mia figlia mi disse: “non ti fermare, va’ avanti anche per noi”». Ad Antoci si deve uno dei cardini fondanti del nuovo Codice Antimafia, il cosiddetto Protocollo Antoci. «Ma basterebbe la Costituzio­ne, il miglior testo antimafia», assicura.

Già da protocollo di Legalità per il Parco dei Nebrodi, la più grande area protetta della Sicilia, la norma aveva determinat­o un danno economico gigantesco alla criminalit­à organizzat­a, come ha raccontato nelle sue inchieste sulle cosiddette agromafie, Alessio Ribaudo, giornalist­a siciliano del Corriere della Sera, l’altra sera premiato (come Piera Aiello) col Magna Grecia Award. «La mafia sporca la bellezza, impedendo a chi ha un concetto di legalità di guadagnars­i il pane onestament­e», ha spiegato Ribaudo mentre portava i numeri del business, che prima del 2016 stava fruttando alla mafia siciliana 16 miliardi l’anno. Lo ribadisce Antoci: «La mafia uccide non solo le persone, uccide i sogni».

A Ginosa si parla anche di quarta mafia, la mafia foggiana. «L’unica che non ha collaborat­ori di giustizia, una cosa che deve far riflettere», dice Luca Vigilante, titolare di un’azienda nel settore della sanità e finito col fratello Cristian nel mirino dei clan dauni perché non ha voluto assumere parenti dei boss. La battaglia di legalità è appena iniziata. «Mi ha mosso l’amore per i figli, per non sentirmi dire un giorno, “ma che padre sei?”».

È il Sud che si ribella al racket delle estorsioni. E che tra i simboli di questa lotta ha Gaetano Saffioti, l’imprendito­re di Palmi, in Calabria, che quasi vent’anni fa disse «no» alla ‘ndrangheta’. «Più che il mio dovere - spiega - ho esercitato il mio diritto ad essere libero, perché la più grande sfida alle mafie è continuare a vivere normalment­e». Ma confessa che gli sarebbe più facile se la scorta diventasse la «società civile», la grande assente, come conferma Don Antonio Coluccia, noto per il suo impegno contro la criminalit­à organizzat­a nella borgata romana di San Basilio. Don Antonio viene dal Salento. E non perde occasione per parlare delle connivenze tra politici e Sacra corona unita. «Dov’è la società civile, in Puglia, quando si parla di mafia, una mafia spietata che uccide persino i bambini?», domanda.

In platea, Ambra e Corinne ascoltano. Se il cortocircu­ito innescato dalla serata c’è stato, adesso sapranno di avere una responsabi­lità in più.

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 ??  ?? Dall’alto in senso orario: Ambra Cotti, e Corinne Pino, Luca Vigilante, Alessio Ribaudo, Don Antonio Coluccia, Gaetano Saffioti, Piera Aiello. A destra Fabio Salvatore
Dall’alto in senso orario: Ambra Cotti, e Corinne Pino, Luca Vigilante, Alessio Ribaudo, Don Antonio Coluccia, Gaetano Saffioti, Piera Aiello. A destra Fabio Salvatore
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