Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
BRUTTI VOTI E STELLE CADENTI
Col senno di poi, si vanno a riprendere i loro compiti in classe. Io lo feci, una settimana dopo. Aveva gli stessi anni del suo compagno di Ruvo. E una mattina di settembre, saremmo dovuti andare insieme, tutti insieme, alla Fiera del Levante. Alessio era partito prima di noi. Lanciandosi da un quarto piano. E lasciandoci per sempre soli. Nel suo ultimo compito in classe, a proposito del “racconta la tua selva oscura”, Alessio era stato ispirato da Dante, se scrisse che lui la stava attraversando la stessa selva. Non ricordo se avesse scritto di essere già quasi all’uscita della stessa. In realtà, Alessio l’aveva fatta finita e aveva lasciato tutti noi, compagni e insegnanti, da soli. Per due anni la presenza di sua madre in classe, al posto di suo figlio, e ogni giorno sul suo banco, i fiori sempre freschi, comprati a turno dai suoi compagni di classe, hanno rinnovato la fragranza fragile di un quattordicenne con cui mi sarebbe piaciuto dialogare su come stessero proseguendo i suoi studi universitari. E invece devo accontentarmi dell’inguaribile sguardo di sua madre, ogni giorno che la vedo tornare dal panificio, che compra il pane per lei e il papà di Alessio. Perché quando una giovane vita decide di spegnersi, avviene come quando le stelle diventano cadenti.
I desideri di chi li ha spente, non si avvereranno. E le stelle, come Alessio e il quattordicenne di Ruvo si spengono, non perché hanno perso energia, calore e brillantezza. Perché, sempre, le bambine, i bambini e gli adolescenti, proprio come le stelle, brillano di luce propria. Anche quando il maestro o la professoressa non gli riconoscono di valere 10. Le stelle diventano cadenti quando accumulano tanta, troppa roba, per non bruciare a tal punto di esplodere e cadere. Finire. Chissà dove. Lasciando a noi, madri, padri, insegnanti ed educatori, la mancanza di qualsiasi senso della nostra esistenza. Si può decidere di spegnersi, a causa di un brutto voto? Si, se per i genitori l’unica cosa per cui i figli vanno a scuola è «il voto che mi devi portare a casa». Per questi genitori è proibito sbagliare, valere poco. Essere forti è la regola per i figli di noi fragili. E allora, si spera che ci si possa prendere il lusso di sbagliare almeno a scuola, per imparare a non essere il riflesso di un mondo adulto sempre più alle prese con la valutazione, i numeri, le crocette. Quelle che servono a riconoscersi forti in una scuola valutocentrica. Dovremmo poter dire anche di questa che la chiamavano Jeeg Robot. E invece è sempre peggio. Perché un 14enne che muore a causa di un brutto voto, condanna la scuola a essere il posto per quelli che non sanno cosa significhi insegnare a sbagliare. L’unico modo per imparare a imparare.