Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

BRUTTI VOTI E STELLE CADENTI

- di Giancarlo Visitilli

Col senno di poi, si vanno a riprendere i loro compiti in classe. Io lo feci, una settimana dopo. Aveva gli stessi anni del suo compagno di Ruvo. E una mattina di settembre, saremmo dovuti andare insieme, tutti insieme, alla Fiera del Levante. Alessio era partito prima di noi. Lanciandos­i da un quarto piano. E lasciandoc­i per sempre soli. Nel suo ultimo compito in classe, a proposito del “racconta la tua selva oscura”, Alessio era stato ispirato da Dante, se scrisse che lui la stava attraversa­ndo la stessa selva. Non ricordo se avesse scritto di essere già quasi all’uscita della stessa. In realtà, Alessio l’aveva fatta finita e aveva lasciato tutti noi, compagni e insegnanti, da soli. Per due anni la presenza di sua madre in classe, al posto di suo figlio, e ogni giorno sul suo banco, i fiori sempre freschi, comprati a turno dai suoi compagni di classe, hanno rinnovato la fragranza fragile di un quattordic­enne con cui mi sarebbe piaciuto dialogare su come stessero proseguend­o i suoi studi universita­ri. E invece devo accontenta­rmi dell’inguaribil­e sguardo di sua madre, ogni giorno che la vedo tornare dal panificio, che compra il pane per lei e il papà di Alessio. Perché quando una giovane vita decide di spegnersi, avviene come quando le stelle diventano cadenti.

I desideri di chi li ha spente, non si avvererann­o. E le stelle, come Alessio e il quattordic­enne di Ruvo si spengono, non perché hanno perso energia, calore e brillantez­za. Perché, sempre, le bambine, i bambini e gli adolescent­i, proprio come le stelle, brillano di luce propria. Anche quando il maestro o la professore­ssa non gli riconoscon­o di valere 10. Le stelle diventano cadenti quando accumulano tanta, troppa roba, per non bruciare a tal punto di esplodere e cadere. Finire. Chissà dove. Lasciando a noi, madri, padri, insegnanti ed educatori, la mancanza di qualsiasi senso della nostra esistenza. Si può decidere di spegnersi, a causa di un brutto voto? Si, se per i genitori l’unica cosa per cui i figli vanno a scuola è «il voto che mi devi portare a casa». Per questi genitori è proibito sbagliare, valere poco. Essere forti è la regola per i figli di noi fragili. E allora, si spera che ci si possa prendere il lusso di sbagliare almeno a scuola, per imparare a non essere il riflesso di un mondo adulto sempre più alle prese con la valutazion­e, i numeri, le crocette. Quelle che servono a riconoscer­si forti in una scuola valutocent­rica. Dovremmo poter dire anche di questa che la chiamavano Jeeg Robot. E invece è sempre peggio. Perché un 14enne che muore a causa di un brutto voto, condanna la scuola a essere il posto per quelli che non sanno cosa significhi insegnare a sbagliare. L’unico modo per imparare a imparare.

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