Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
La lunga storia di Steve Winwood Se talento e fortuna non guastano
A17 anni era già una star celebrata della nuova musica inglese (Beat o Rhythm&blues, veniva definita all’epoca), leader di fatto di un gruppo, lo Spencer Davis Group, tra i protagonisti della «British Invasion» negli Stati Uniti di metà anni Sessanta: avete presente Gimme Somme Lovin’, ripresa nel 1980 per la travolgente colonna sonora del film Blues Brothers? Steve Winwood, tastierista (grandissimo all’organo, tanto usato nella musica di quel tempo), chitarrista e compositore di talento, dotato oltretutto di una voce formidabile e decisamente «nera» che lo faceva distinguere tra mille, era nato nel 1948 a Handsworth, nei pressi dell’inglesissima e allora bianchissima Birmingham.
Il suo contributo alla grande stagione del rock non si è fermato lì ma negli anni si è arricchito di pagine più «adulte» e importanti. A cominciare dai Traffic, il gruppo da lui fondato nel 1967 per dare l’assalto al cielo di una piccola utopia musicale che fondeva soul, jazz e folk (oltre che rock, naturalmente, ma nel senso ampio della «cultura rock») in una miscela tra le più originali dell’epoca.
La sua storia viene ripresa e raccontata per filo e per segno in un libro edito dal marchio specializzato Arcana, Le nove vite di Steve Winwood (pp. 120, euro 14), da un veterano della critica musicale come Pasquale Boffoli: barese, giornalista free-lance ma anche cantante e armonicista, promotore di fanzine all’epoca punk (Box Music) e poi di webzine in anni più recenti (Distorsioni), autore già di un paio di libri come Bari Rock Days (scritto con Antonio Rotondo, 2016) e Distorsioni sonore del terzo millennio (2019).
Le nove vite di Winwood s0no quelle di chi, baciato dal talento e dalla fortuna, ha avuto in dono un grande talento e ha saputo sfruttarlo alla grande negli anni di maggiore energia, con i Traffic appunto (John Barleycorn Must Die su tutto, ma con almeno altri tre o quattro album di altissimo livello) e con la breve, luminosa parentesi dei Blind Faith insieme al suo amico chitarrista Eric Clapton, altro fuoriclasse. E poi ha saputo rinnovarsi vivendo tante vite diverse, dal supergruppo Go insieme a Stomu Yamashta e Klaus Schulze alla sua carriera solista che negli anni Ottanta ne fece anche una star da videoclip, fino alle ultime zampate di classe degli ultimi tempi, come il Live from Madison Square Garden del 2009, ancora una volta con il vecchio «pard» Eric Clapton.
Boffoli spiega cosa si provi a «essere Steve Winwood», a 17 come a 74 anni, che compirà il prossimo 12 maggio, ormai vicinissimo ai 60 anni di carriera musicale. E ci restituisce così il sapore di un’epopea d’altri tempi, con un linguaggio e uno stile da tipico giornalismo musicale d’antan. Non solo per nostalgici.