Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
I lampi verdolini che rinfrescano il salentino Angiò
Era all’incirca la fine del 1.200 quando Carlo d’Angiò fece importare da Cava de’ Tirreni verso Manfredonia 16 mila piante di Fiano. È quasi certo però che tale varietà fosse già abbastanza diffusa anche in precedenza in regione con il nome di Latino. La sua diffusione crebbe in tutte le aree viticole della Puglia fino all’avvento della Fillossera che, che arrivò a Santeramo nel 1899. La catastrofe fillosserica decretò la quasi scomparsa di questo vitigno sia in Puglia ma anche in Campania. Furono molti i vitigni che scomparvero dopo la ricostruzione dei vigneti, Negro Dolce, Zapponara nera, Lagrima, Verdone nero, Zagarese, fra le uve rosse, sono nomi che ricorrono solo nei testi storici e nelle ricerche specialistiche del tempo. Una perdita di biodiversità enorme, un impoverimento genetico che ha segnato la viticoltura odierna, consegnandoci un quadro viticolo dominato, per parlare solo delle varietà “locali”, da Negro amaro, Uva di Troia e Primitivo. Negli anni ‘70 la voglia di ricercare originali comprimari porterà ad un lento recupero di alcune varietà che rischiavano l’estinzione o di cui si sottovalutavano le potenzialità. L’uva latina oggi Fiano è stata tra le protagoniste di questa riscoperta e la sua nuova diffusione sta a testimoniare quanto questa cultivar sia apprezzata, tanto da richiederne la Doc. Angiò è il Fiano Salentino della storica cantina Leone de Castris. Il bicchiere ci consegna un brillante e luminoso giallo paglierino con lievi lampi verdolini, un segno di gioventù che ritorna all’olfatto. Pesca bianca, frutta tropicale, con accenni floreali che ricordano glicine e tiglio. Bocca suadente, fresca e morbida di adeguata ed equilibrata struttura con discreta persistenza. Un vino adatto a preparazioni di mare, dagli antipasti alle grigliate, ma anche come semplice aperitivo, per chi non cerca banalità.