Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
Alfredino e la tv del dolore nella narrazione di Enrico Macioci
Esce per l’editore Terrarossa «Sfondate la porta aperta ed entrate nella stanza buia»
«La storia della Tv del dolore, della comunicazione del dolore, della civiltà che ha rimosso la morte spruzzando dolore ovunque» sono le protagoniste principali dell’ultimo lavoro di Enrico Macioci, Sfondate la porta aperta ed entrate nella stanza buia, per i tipi di Terrarossa. L’emblematico titolo ricalca la frase che Alfredo Rampi pronunciava dal fondo del pozzo, quando in quei giorni caldissimi dell’81 cominciò a perdere lucidità.
Il bravissimo autore aquilano prende a pretesto la scomparsa di tre bambini, per riflettere, con una modalità molto singolare e costruita attraverso una scrittura carica di anima e pathos, sul mondo degli adulti e la loro incapacità di sguardo a fondo. Nelle poche ma densissime pagine di Macioci c’è un continuo scambio fra paura e desiderio di assicurarsi quello che è impossibile garantirsi, la sicurezza dei piccoli ma anche dei più grandi. Fra sorveglianti e sorvegliati l’unico osservatore è l’abisso.
Christian, il migliore amico del protagonista principale, scompare negli stessi giorni in cui Alfredo Rampi cade nel pozzo di Vermicino, e Francesco, seienne come loro, è costretto a tradire una promessa nella speranza di ritrovare il suo amico. C’è l’Italia incorreggibile, quella degli anni ’80, abbagliata dalla Tv, colori acidi e da quelle prime forme di racconto di drammi che insinuano i diminutivi e tentazioni d’intimità irresistibili (Alfredino) per rendersi grande il falso coraggio di chi non sa come risalire dagli abissi, fino agli anni Novanta e giù di lì, con un paese che sfonda le porte per richiudersele sempre alle spalle.
E se non si esce vivi dagli anni ’80, lo si comprende attraverso le pagine con cui lo scrittore narra i crepacci di un’infanzia, che si prolungano nel mondo adulto, trasportando il lettore in un’esistenza buia, infinita quanto una stanza senza più pareti: «sotto la gonna scintillante di paillettes», dove si «celano cosce piene di lividi». Fra lo sbranamento dei social, l’incantamento della Tv e la trappola degli smartphone, tecnologie di promesse non mantenute, Macioci richiede al suo lettore un atto di fiducia, perché ha fede nella possibilità di un cambiamento, convinto che il virus dell’infelicità circola ovunque, poiché «il vettore non è il sangue ma la parola». E con le parole, di diverso genere che di volta in volta si combina e scombina, l’autore non evita finanche i versi di una poeticità che inabissa e illumina, «una specie di stanza buia, pozzo dove un bimbo lotta per non annegare, per raggiungere il cerchio di luce che appare su in cima». In quel posto lontano dove questo bellissimo romanzo breve rimanda.
Vermicino
La tragedia di Vermicino segnò nel 1981, con la sua lunga diretta, un salto di qualità nell’uso della televisione