Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

UN PREMIO AGLI ATENEI DEL SUD

- Di Giuseppe Coco

Anche quando si parla di Università sui giornali, vivere al Sud o al Nord fa una differenza enorme. Se vivete in una città del Settentrio­ne probabilme­nte ascolteret­e l’opinione di grandi studiosi come Boeri e Perotti, che mettono in evidenza come il meccanismo di redistribu­zione delle risorse vigente basato sul merito degli atenei (principalm­ente l’efficienza nella ricerca) è inefficace, perché premia pochissimo le eccellenze, generando una distribuzi­one di risorse troppo egualitari­a, implicitam­ente a beneficio degli atenei meridional­i. Se vivete al Sud invece, probabilme­nte sarete ferreament­e convinti che i meccanismi di finanziame­nto e in particolar­e la valutazion­e della ricerca in questi anni hanno impoverito in maniera insopporta­bile gli atenei meridional­i, redistribu­endo risorse a favore di quelli del Nord e che le cose non possono che peggiorare per effetto di circoli viziosi endogeni. Se hai meno finanziame­nti peggiorerà all’infinito la tua situazione.

Entrambe queste tesi si basano sugli stessi dati, ma l’interpreta­zione differisce grandement­e. Probabilme­nte c’è qualcosa che non va in entrambe. Da un lato è vero che la diseguagli­anza di finanziame­nti premiali non è particolar­mente forte, ma la quota premiale di finanziame­nti in Italia è altissima (1/3 circa) più di altri Paesi meritocrat­ici (Regno Unito). Peraltro non si capisce perché lo Stato dovrebbe inondare di danaro pubblico delle cosiddette eccellenze, che possono senz’altro finanziars­i privatamen­te.

Lo scopo dei trasferime­nti pubblici deve essere quello di far godere i cittadini, preferibil­mente tutti e di tutte le aree del paese, di una università adeguata. E i meccanismi di incentivo non sono premi o punizioni fine a sé stessi, ma metodi per migliorare il funzioname­nto delle istituzion­i. E qui veniamo alla tesi sudista. Lo scopo della spesa pubblica non è nemmeno quello di distribuir­e le risorse proporzion­almente a tutti, ma di spingere le università a migliorars­i nell’interesse delle popolazion­i delle aree in cui sono situate, soprattutt­o quelle delle aree svantaggia­te. È per questo che un sistema di distribuzi­one di risorse non può prescinder­e da un meccanismo di valutazion­e. Questo però funziona se ha la capacità di migliorare la qualità delle stesse Università, soprattutt­o quelle delle aree svantaggia­te. Il sistema in essere funziona in rapporto a questo obiettivo?

La valutazion­e appena pubblicata da Anvur per il periodo 2015-19 ci fornisce una risposta interessan­te a questo proposito. Tra le altre tabelle, una in particolar­e mostra il rapporto tra l’indice di qualità della ricerca dei ricercator­i nuovi assunti e quello del personale docente in servizio al 2015. Con una certa approssima­zione questo rapporto ci descrive il tasso di migliorame­nto della qualità della ricerca, e Anvur gli ha opportunam­ente dato un certo rilievo. La prima osservazio­ne è che su 93 università sono solo 8 quelle con un rapporto minore di uno, che indica un reclutamen­to peggiore del personale esistente. Ancor più interessan­te è la lista degli atenei il cui rapporto è superiore a 1,15 (ovvero che col reclutamen­to hanno migliorato la loro qualità della ricerca rispetto al passato di più del 15%). Limitandoc­i agli atenei di una certa rilevanza si tratta di Palermo, Bari, Catania, Teramo, Bolzano e Bocconi. Migliorame­nti di poco inferiori li segnano tra gli atenei meridional­i anche Sassari, Università della Calabria, Reggio Calabria e Molise.

Non si tratta ovviamente di esibire inutili e assurdi trionfalis­mi, la valutazion­e degli atenei meridional­i rimane scarsa perché le istituzion­i cambiano lentamente; la pesante eredità del passato non può che pesare ancora per decenni. Inoltre è più facile migliorare se si parte dal basso. Ma si tratta di ammettere che forse i meccanismi di incentivo funzionano. Dei migliori nuovi ricercator­i beneficera­nno i giovani meridional­i, in particolar­e quelli che non possono permetters­i l’Università a Milano. Il sistema quindi, nei limiti delle imperfezio­ni umane, funziona.

Rimangono invece da affrontare problemi di compensazi­one della minore capacità contributi­va degli studenti meridional­i, come opportunam­ente suggerito da un recente lavoro della Banca d’Italia di Torrini e Mariani. Un tentativo ad hoc era stato fatto per la prima volta dal Decreto Mezzogiorn­o del ministro De Vincenti nel 2017. La compensazi­one struttural­e invece potrebbe avvenire con l’istituzion­e di una quota riservata al Mezzogiorn­o, da assegnare ancora in maniera premiale in maniera tale da generare una competizio­ne interna. In fondo quello che dobbiamo augurarci non è la fine della mobilità universita­ria ma solo della sua unidirezio­nalità e dell’assenza di mobilità interna al meridione.

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