Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
I DICIOTTO ANNI DEI NOSTRI RAGAZZI PRINCIPI E PRINCIPESSE PER UNA NOTTE
Il battesimo e il primo compleanno. A seguire, la prima comunione e la cresima. I diciotto anni. Devono essere principi, re, principesse. Come uno sposo o una sposa. Sono giorni, che nella quinta liceo dove insegno, faccio discussioni. Avrei voluto avvenissero solo fra me e gli studenti. Invece, mi ritrovo sempre a discutere con le madri di figli diciottenni a cui organizzano la festa. Le madri che, nonostante l’immaturità dei figli, prossimi diplomandi, vengono a parlarci ancora per richiedere ciò che serve: il voto. Per loro la scuola serve a questo o per insegnare il mestiere. Per una settimana, con gli studenti di quinta, ho provato a darci dei voti. A partire dalla mia famiglia. Sono mesi che una mia nipote, quarto anno di liceo, non vive d’altro: non esistono compiti pomeridiani, impegni di ogni sorta, deve lavorare per fare soldi, esce solo per vedere le vetrine. Se ha «spazio e tempo, vado a vedere le sale». Ho detto ai miei studenti che ce l’ho anche io il mostro in casa. Mia nipote, fra qualche mese diciottenne, da mesi non vive d’altro, se non per preparare la sua festa di diciotto anni. Dall’abito, alla sala, passando dal book fotografico, senza dimenticare l’estetista. «Zio, tu non capisci» mi ha detto. Al modo della madre di Alessia, mia studentessa, che senza un minimo di vergogna, venendo a scuola ha giustificato sua figlia: «non può essere pressata da tante interrogazioni e compiti in classe, perché sta preparando un momento importante della sua vita». Avevo pensato, illuso, che mi stesse parlando degli esami di Stato di sua figlia, cominciano fra un mese. Si trattava dei suoi diciott’anni. Scopro da un altro collega, il cui figlio ha fatto la prima confessione, che ha dovuto chiedere l’ora di lavoro al suo datore, per «fare le prove con mio figlio per la sua prima confessione, in chiesa con mia moglie». In uno dei tragitti in macchina che frequento, fra Mola di Bari e Polignano, ho trovato decine e decine di bambine e bambini, in posa sulle balle di grano, fra trulli bassi a ridosso del mare, con i fotografi che impressionavano «i piccoli sposi e le piccole spose, come per i matrimoni – mi hanno spiegato –. Ormai si fanno i book fotografici per le prime comunioni». Ma i miei studenti mi hanno impressionato più dei fotografi. Mi hanno parlato delle loro feste di diciotto anni: «in discoteca, con la cubana, regalo di papà», «ho fittato una villa con piscina, a un certo punto, tutti nudi, mezzi vestiti e ubriachi… ha presente i film?». Sono mesi che la maggior parte dei miei studenti, prossimi alla loro (im)maturità, non danno interrogazioni, o se le danno sono su richiesta: «possiamo venire volontari?», come quando ci si arruola nella Croce Rossa. I genitori vengono a giustificarli, e quando non possono farlo di persona, lo mandano a dire sui diari dei loro figli, al modo della madre di Gennaro, che sul diario (o ciò che di esso rimane) del figlio ha scritto: «Professore, la prego di giustificare mio figlio, perché non ha studiato perché aveva la preparazione della festa del suo diciottesimo compleanno». Non lo so voi, lettori. Ma forse, davvero dovremo credere a quello che diciamo sempre? «Ai miei tempi tutto ciò…». Si era così folli? Così malati per la festa di diciott’anni? Basta applicarsi un po’ e studiare: tutto ciò comincia dalle mostruose feste di compleanno dei nostri pargoli. Nelle ludoteche, con l’animazione, le feste con cose commestibili, fatte apposta per gli stomaci di bambini. Ma soprattutto per genitori, ormai abituati a digerire, mandando giù, qualsiasi cosa.