Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
«Gagarine», le periferie fra poesia e dura realtà
Gagarine - con la ‘e’, alla francese - è il nome di un gigantesco palazzoquartiere costruito nel 1963 alla periferia Nord di Parigi. Il complesso fu inaugurato dal russo Yuri Gagarin (da cui prese il nome), primo uomo ad esplorare lo spazio a bordo di una navicella nel 1961. L’astronauta fu all’epoca il simbolo stesso del progresso, così come simbolo di progresso nell’edilizia popolare avrebbe dovuto essere «Città Gagarine» e tutti i suoi omologhi sparsi nelle cinture delle grandi città, Bari e i palazzoni popolari della periferia incluse.
Gagarine inizia così, con il taglio del nastro di questo mega complesso edilizio abbattuto nel 2019, con filmati d’archivio in bianco e nero e gli sguardi felici e sorridenti dei suoi futuri abitanti. L’opera prima di Fanny Liatard e Jérémy Trouilh, passata per Cannes un paio di anni fa è adesso in poche sale che vi invitiamo a cercare.
Ma che cosa ci dicono questi primi fotogrammi. Innanzitutto che è possibile raccontare la periferia in modo poetico. Poi, che è possibile non cadere nella trita retorica del film già visto e rivisto. Gagarine è un omaggio commovente al mostro in cemento filtrato dalla storia di Youri, un adolescente che sogna di diventare astronauta. È cresciuto fra i palazzoni di Gagarine con un padre scomparso quando era piccolo e una madre che ha inseguito un nuovo amore lasciandolo solo in uno dei tanti appartamenti di quel complesso. Man mano che l’edificio viene abbattuto, Youri fa di tutto per scongiurare la sua demolizione. Continua a nascondersi nel palazzo, nel suo condominio trasformato in una stazione orbitale, con tanto di comandi di pilotaggio, assenza di gravità, tuta e casco da astronauta. Youri si aggrappa alla sua realtà alternativa che guarda allo spazio e al sogno di sbarcare sulla luna, all’interno di un mondo scadente e malfatto, ma pur sempre scolpito a sua immagine.
La sceneggiatura è ricca di buone idee per la regia e rende Gagarine un racconto di resistenza, senza un briciolo di violenza, pieno di solidarietà senza essere stucchevole. Un omaggio a quel mostro in cemento che getta uno sguardo minaccioso sulla periferia, filmato come una nave fantasma abbandonata, una sorta di 2001 Odissea nello Spazio (urbano). Un ambizioso film di resistenza, un romanzo di formazione tanto onirico quanto disperato, sul potere dell’immaginazione e sul difficile mondo dell’infanzia. Un lancio in orbita ben riuscito.