Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
INSEGNARE (ANCHE) PER EDUCARE
Premessa: ho smesso di accompagnare le studentesse e gli studenti in visita d’istruzione dodici anni fa. Quando mi accorsi che alcuni studenti della classe accompagnata ad Atene, gli stessi che avevano preteso l’immancabile serata in discoteca, il giorno dopo non erano venuti a visitare l’acropoli rimanendo in hotel per riprendersi dalle sbornie della nottata precedente. Si trattava di studentesse e di studenti diciottenni. Quindi, ho smesso di accompagnare le scolaresche in visita, quando questa è diventata visita di distruzione. Perché intendo bene la differenza da quella d’istruzione. La stessa che conosce evidentemente la preside della scuola media di Lecce, che ha deciso di non portare in gita sei alunni della seconda classe perché «troppo indisciplinati». Naturalmente, chi avrebbe potuto essere in disaccordo con il volere della preside e del consiglio di classe, che ha deciso tale provvedimento? I genitori. Le madri, gli assenti padri, insomma gli educatori che, invece, dovrebbero essere di comune intenti con quelli che si prendono cura dei loro pargoli.
La notizia ha fatto un gran chiasso. Ormai siamo al paradosso: la buona educazione fa più rumore di ciò a cui assistiamo quotidianamente, in famiglia, a scuola, in strada e ovunque abbiamo dismesso, noi adulti, il nostro mestiere di educare. Perché educare stanca. Implica un atto di responsabilità e fiducia, che rappresentano valori obsoleti e in disuso.