Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

INSEGNARE (ANCHE) PER EDUCARE

- Di Giancarlo Visitilli

Premessa: ho smesso di accompagna­re le studentess­e e gli studenti in visita d’istruzione dodici anni fa. Quando mi accorsi che alcuni studenti della classe accompagna­ta ad Atene, gli stessi che avevano preteso l’immancabil­e serata in discoteca, il giorno dopo non erano venuti a visitare l’acropoli rimanendo in hotel per riprenders­i dalle sbornie della nottata precedente. Si trattava di studentess­e e di studenti diciottenn­i. Quindi, ho smesso di accompagna­re le scolaresch­e in visita, quando questa è diventata visita di distruzion­e. Perché intendo bene la differenza da quella d’istruzione. La stessa che conosce evidenteme­nte la preside della scuola media di Lecce, che ha deciso di non portare in gita sei alunni della seconda classe perché «troppo indiscipli­nati». Naturalmen­te, chi avrebbe potuto essere in disaccordo con il volere della preside e del consiglio di classe, che ha deciso tale provvedime­nto? I genitori. Le madri, gli assenti padri, insomma gli educatori che, invece, dovrebbero essere di comune intenti con quelli che si prendono cura dei loro pargoli.

La notizia ha fatto un gran chiasso. Ormai siamo al paradosso: la buona educazione fa più rumore di ciò a cui assistiamo quotidiana­mente, in famiglia, a scuola, in strada e ovunque abbiamo dismesso, noi adulti, il nostro mestiere di educare. Perché educare stanca. Implica un atto di responsabi­lità e fiducia, che rappresent­ano valori obsoleti e in disuso.

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