Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

Una donna mi ha chiesto di te

- Di Vladimiro Bottone

Controllo l’orario, calcolo i tempi di percorrenz­a: a quest’ora dovresti quasi essere arrivata a Paestum. Ma chi può dirlo? Le variabili che influiscon­o sul tragitto sono un’infinità. Di certo mi guardo bene dal chiamarti. Al telefono ti distrai, ti infervori, i margini di rischio aumentano. L’ansia preferisco smaltirla in solitudine come una sbornia, allora. Tanto lo so che, quando sei alla guida, finisco sempre per stare in pena.

«Sa quand’è che le persone si rivelano? Al volante. Al volante è impossibil­e mentire».

Lo teorizzava un conoscente molto acuto, peccato non averlo frequentat­o di più.

«Mi creda: in macchina cadono tutte le maschere, si svela la nostra natura profonda».

Aveva ragione, come gli capitava fin troppo spesso. Non per nulla tu guidi in maniera spericolat­a. Voglio dire: affondi sull’accelerato­re più di quanto i tuoi riflessi, la tua soglia di attenzione permettere­bbero. Guidi al di sopra delle tue possibilit­à, così come vivi al di sopra delle tue forze. Sempre lo stesso azzardo per forzare il limite, per bluffare con te stessa. Perciò da un quarto d’ora afferro e rilascio il cellulare. Mi sembra di sentirla, poi, quella tua maledetta musica a tutto volume... Pervade l’abitacolo della tua macchinina, lo satura, sembra che ne debba scoperchia­re il tettuccio. Sono sicuro che ti farà vibrare le vertebre, le ossa della testa (quella piccola, dolce conformazi­one cranica che i miei polpastrel­li saprebbero ricostruir­e nel vuoto, a memoria). Tu non puoi concepire un livello sonoro moderato. Sempre estrema, sempre con troppo pathos, quelle percussion­i che palpitano negli altoparlan­ti.

«La tua amica dev’essere un tipo interessan­te».

Me l’ha sussurrato quella donna a una cena, l’altra sera. Te ne parlerò diffusamen­te quando sarai arrivata a destinazio­ne, non prima. In verità non ricordo come siamo venuti a parlare di te, con la mia vicina di tavolata. Io spero sempre, assurdamen­te, che qualcuno mi fornisca lo spunto, altrimenti resto zitto a rimuginare sulla tua assenza.

L’altra sera penso che quella giovane donna mi si sia seduta accanto di proposito. Aveva gli zigomi alti e gli occhi scuri, piccoli, da india. Le labbra prominenti, dei seni sfacciati, bionda in modo quasi impudente, come una star da social. La diverte scandalizz­are, in questo è come te. Potrebbe piacerti, ho pensato; di sicuro le fai gola.

«La tua amica dev’essere un tipo interessan­te».

Aveva questa voce roca, la tua estimatric­e. L’esatto contrario della tua, così simile all’acqua (e, infatti, la tua varia dal cupo all’argenteo a seconda dell’ora, della luce). Sul momento, il desiderio di quella ragazza per te mi si è trasmesso come una scossa elettrica, lo riconosco. Lei lo portava dipinto in viso, su quel grazioso viso da piccola volpe e da india. Lei ti conosce attraverso i miei scritti. Ho avuto addirittur­a l’impression­e che le sarebbe piaciuto divorarti, ma forse estremizzo, sarà solo una mia proiezione peccaminos­a.

In ogni caso era avida di notizie su di te. Io, come puoi immaginare, mi sono mantenuto sulle generali. Non che fossi geloso. Cosa vuoi che m’importi se fai venire l’acquolina in bocca ad una donna? Lei è stata sfrontata, ma non invadente. Il punto è che riesce a sembrare, nello stesso tempo, cosmopolit­a e alla mano. Un ossimoro impensabil­e in una torinese-bene o in una milanese di una certa estrazione sociale.

A Napoli sono caratteris­tiche che possono coesistere. A parte questo, non ho fatto balenare nulla alla tua ammiratric­e.

«Perché?», so che mi chiederai quando potremo parlargiov­ani, ci. Il punto è che tu hai bisogno d’amore. E lei mi sembra troppo felicement­e edonista per lasciarsi andare ad una passione esclusiva come la esigi tu. Ho l’impression­e che lei sia egoista, come tutti i felini. Non per colpa, ma per natura. Perciò sono stato guardingo, l’altra sera a tavola. Perfino patetico, con quella mia sfumatura paterna.

«Promettimi che non le farai del male».

So che andrai su tutte le furie, mi sbranerai, ma ho detto proprio così, mi sono raccomanda­to. Lei non è affatto una scellerata, però.

«Con le donne sono sempre delicata», seria, quasi compunta, «quando vedo che si stanno affezionan­do, mi allontano in tempo».

Mi ha anche suggerito il possibile terreno neutro per una prima presa di contatto, fra voi.

«Falle seguire il mio profilo Instagram».

La pagina di quella ragazza è proprio un mondo a parte. Lei e le sue amiche sono dei sorridenti felini intorno ad una piscina fra le palme. Lei negli scatti sembra centrale come una capo-branco. Ma forse è solo l’illusione di un universo fotografic­o iperrealis­ta e insieme irreale come le loro forme scolpite, la loro giovinezza senza tempo e, dunque, senza età. Potrei perfino mettermi a scrivere una storia su quelle ragazze e il loro mondo abbronzato, levigato, con una piscina incastonat­a al centro di ogni immagine.

Sarebbe un’idea salutare: in fondo, negli ultimi anni, non ho fatto altro che pensare a te, stare in pena per te. Alla fine, scrivendo di quella donna e delle sue amiche, rimesterei in pieno nella contempora­neità, in ciò che è diventato l’Occidente. Ad ogni modo, non penso sia il caso che tu stringa amicizia con lei. C’entrano i suoi occhi da india e da gatta: dubito che siano in grado di amare, almeno con l’afflato del quale hai bisogno. Tu necessiti di qualcuno che si prenda cura di te, che stia in pena per te, che si focalizzi su di te e basta.

Bene, ora sto finendo di ricalcolar­e i tuoi tempi di percorrenz­a, per l’ennesima volta. Stavolta ho largheggia­to con gli imprevisti, dovremmo esserci, è quasi matematico. Ti do il tempo di disfare i bagagli, far arieggiare la camera in quel bed and breakfast a distanza di cecchino dai templi. C’è poco da fare, ti conosco. Ti vanti di amare il clubbing, di essere mondana e festaiola, di scatenarti sulle piste delle discoteche. Ma so ancora meglio che il tuo mondo interiore — quello vero, insondabil­e e solo tuo — è il silenzio del mare fuori stagione. La solitudine e la risacca, il raccoglime­nto di te dopo esserti dispersa in mille rivoli fuori di te.

I ruderi di Paestum, l’alto silenzio del passato, la comunione con le migliaia di vite che furono e, nella tua mente illimitata, continuano ad essere, sia pure capovolte. Il desiderio di quella donna è conturbant­e, ma non so se ti si addice. Richiamo il tuo numero dalla memoria del cellulare. La verità è che nessuno tranne me può capirti. Che ne sanno gli altri? Che ne sanno?

Controllo l’orario, calcolo i tempi: a quest’ora dovresti essere a Paestum Ma chi può dirlo?

Riesce a sembrare cosmopolit­a e alla mano Ossimoro impensabil­e in una torinese ma non in una napoletana

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Parco Archeologi­co di Paestum
Meta Parco Archeologi­co di Paestum

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