Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
Ergastolo all’assassino dei fidanzati di Lecce «Vuoto incolmabile»
Eleonora e Daniele furono accoltellati il 20 settembre del 2020 De Marco è stato riconosciuto capace di intendere e di volere
La Corte d’Assise di Lecce ha condannato all’ergastolo Antonio De Marco per l’omicidio di Daniele De Santis e della fidanzata Eleonora Manta, uccisi con 79 coltellate il 21 settembre del 2020 a Lecce. L’assassino avrebbe ucciso perché invidioso della felicità della coppia. Secondo i giudici De Marco era capace di intendere e di volere. Il padre di Daniele: nessuna sentenza potrà mai colmare il vuoto che ha lasciato».
LECCE Ergastolo per l’assassino di Daniele ed Eleonora, uccisi nel settembre 2020 dal loro ex coinquilino «perché erano felici». È la sentenza emessa ieri mattina dai giudici della Corte d’Assise di Lecce nei confronti del ventiduenne Antonio De Marco, di Casarano, reo confesso del duplice delitto dell’arbitro leccese Daniele De Santis e della fidanzata Eleonora Manta, di 33 e 31 anni, ammazzati nel loro primo giorno di convivenza con 79 coltellate.
L’imputato - assente in aula come del resto durante l’intero processo - è stato inoltre condannato al risarcimento dei danni in favore delle parti civili (nei confronti delle quali è stata riconosciuta provvisionale di 100.000 euro ciascuna),
al pagamento delle spese processuali e di mantenimento in carcere durante la detenzione cautelare, nonché interdetto in perpetuo dai pubblici uffici e dichiarato in stato di interdizione legale. Nei confronti dell’imputato, condannato con le accuse di duplice omicidio aggravato da premeditazione e crudeltà, non è stata emessa la pena accessoria dell’isolamento diurno per un anno, come invece era stato chiesto dal pubblico ministero Maria Consolata Moschettini durante la requisitoria.
Le motivazioni della sentenza saranno depositate entro 60 giorni. Si è chiuso con la sentenza al carcere a vita emessa dal presidente della Corte d’Assise Pietro Baffa, dunque, il processo di primo grado su uno dei delitti più efferati della recente storia del Salento, la cui ultima udienza ha riservato subito un’inaspettato colpo di scena a causa di una giudice popolare supplente dichiarata «decaduta per incompatibilità», dopo avere rilasciato alcune valutazioni personali sull’esito del processo ad un’emittente tv prima dell’ingresso nell’aula bunker del carcere salentino, dove si sarebbe dovuto celebrare l’ultimo atto del procedimento giudiziario a carico del casaranese.
Il duplice omicidio di cui Antonio De Marco è stato ritenuto colpevole risale al 21 settembre 2020 ed avvenne al civico 2 di via Montello, a Lecce, dove lo stesso De Marco aveva convissuto con la coppia per qualche mese, prima di essere invitato a lasciare l’appartamento in vista della convivenza tra l’arbitro di Lega Pro e la dipendente Inps. A spingere il ventiduenne ad uccidere sarebbe stato «un sentimento di rabbia nell’avere constatato la felicità altrui a fronte della sua solitudine». Un’invidia verso Daniele De Santis e quella coppia felice, «rappresentazione allo specchio della sua solitudine - aveva sostenuto il pm nella requisitoria - sfociata in rabbia narcisistica e furore narcisistico, portandolo a programmare il delitto e metterlo in atto». Affetto da un disturbo narcisistico della personalità del sottotipo covert, come ravvisato nel corso del processo dai consulenti della procura, De Marco sarebbe stato capace di intendere e di volere prima, durante e dopo il duplice omicidio. E dunque capace di stare in giudizio, al contrario di quanto sostenuto nella loro arringa dai suoi difensori, che - contestando le modalità, l’approccio e le conclusioni dei periti della Corte d’Assise avevano chiesto per il loro assistito la «non imputabilità» perché, a loro dire, affetto da disturbi dello spettro autistico e psicotico, che avrebbero inciso sulla sua volontà di intendere e di volere quando ha compiuto l’omicidio.
Per l’accusa, invece, si sarebbe trattato di un omicidio pianificato, che De Marco iniziò ad abbozzare in un diario già il 30 gennaio 2020, all’indomani del rifiuto di una compagna di corso alla quale si era dichiarato. Episodio che il magistrato aveva definito il «detonatore» del delitto, arricchito nel tempo del «kit» necessario per compierlo, del percorso per schivare le telecamere precedentemente mappate con Google Maps e del «cronoprogramma dei lavori», appuntato anche sui 5 fogli manoscritti poi persi davanti il condominio della carneficina, in cui entrò grazie al doppione delle chiavi realizzato alcuni mesi prima.