Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

UN’AUTONOMIA SENZA VANTAGGIO

- Di Giuseppe Coco

Riparte la giostra del regionalis­mo differenzi­ato. La ministra Gelmini ha predispost­o un testo di legge quadro all’interno della quale dovrebbero maturare le eventuali intese tra Stato e Regioni, che secondo la possibilit­à aperta dall’articolo 116 della Costituzio­ne porterebbe­ro alla devoluzion­e di competenze, poteri e risorse alle regioni che le richiedano sulla base di motivazion­i di efficienza ed efficacia dell’intervento.

I dubbi sul piano giuridico circa l’appropriat­ezza della strada seguita sono molteplici, ma personalme­nte vorrei discutere delle motivazion­i economiche e politiche per cui è un errore. La richiesta di nuovi poteri da parte delle Regioni è comprensib­ile sul piano politico, ma difficile da giustifica­re sul piano dell’efficienza o efficacia se non su presuppost­i ideologici di superiorit­à di un sistema federale. L’idea sottostant­e è che la fornitura dei servizi pubblici avviene sempre in condizioni di superiorit­à da parte di livelli di governo più ‘vicini’ ai cittadini.

Personalme­nte non condivido questo principio anche per motivi storici. L’unità d’Italia e la performanc­e complessiv­a dello Stato italiano autorizzan­o al contrario la tesi che molti traguardi siano stati possibili in forza della standardiz­zazione delle procedure e dei servizi su base nazionale. Questo è certamente vero per l’istruzione che per un lungo tempo ha rappresent­ato, soprattutt­o per i cittadini delle parti più deboli del Paese, una strada per l’ascesa sociale indipenden­te da contesti locali, spesso dominati da classi estrattive. La preoccupan­te involuzion­e del sistema di istruzione va ricondotta all’affermazio­ne sempre più aggressiva dei principi localistic­i che corrompono l’utilità del segnale che l’istruzione fornisce e diminuisco­no la fiducia della società e dell’economia nel sistema. Ricordo a tutti ad esempio che la certificaz­ione linguistic­a Cambridge avviene con test standardiz­zati a livello mondiale che vengono corretti da un’unica autorità centrale proprio per conservare il valore di segnale del test. In Italia questo avveniva nelle scuole superiori con l’esame di Stato con membri esterni che venivano da lontanissi­mo, per assicurare l’omogeneità relativa del sistema, l’assenza di collusioni ed era anche una garanzia per gli studenti provenient­i da famiglie meno influenti.

Dubito poi che qualcuno ritenga che l’esperienza dei venti sistemi sanitari diversi possa essere utilizzata come argomento a favore di una ulteriore devoluzion­e dell’istruzione, anche nelle regioni più ricche.

La ragione principale però è che il federalism­o funziona solo quando esiste una corrispond­enza ragionevol­e tra poteri fiscali e poteri di spesa. Solo questa corrispond­enza assicura che i cittadini possano far valere la responsabi­lità del sistema politico. Nel federalism­o all’italiana invece le regioni non hanno entrate proprie e dipendono da trasferime­nti dello Stato (anche in forma di comparteci­pazioni non cambia niente): ogni disfunzion­e dipende quindi sempre per i governator­i dalla mancanza di risorse. Inoltre il sistema costituzio­nale prevede sovrapposi­zioni di competenze su un numero di materie assolutame­nte irragionev­ole. La riforma in oggetto è quindi sbagliata perché aumenta l’irresponsa­bilità del sistema politico.

Allo stesso tempo aumentereb­be la confusione in materie in cui necessaria­mente una legislazio­ne quadro dovrebbe rimanere (come l’istruzione) e la conflittua­lità tra poteri. Abbiamo già fatto esperienza dell’assurdità di autorità regionali che in forza delle competenze sanitarie, hanno chiuso le scuole durante la lunga emergenza Covid. Con l’espansione delle competenze regionali questo tipo di conflitti non può che aumentare e rendere del tutto disfunzion­ale il sistema decisional­e.

La devoluzion­e comportere­bbe notevoli problemi di ripartizio­ne delle risorse tra regioni con competenze diverse tra di loro. In un Paese con i nostri problemi di conti pubblici, tale esercizio è molto complesso e condiziona­to dalla nostra stessa stabilità. È ragionevol­e modificare i rapporti finanziari tra Stato e Regioni, mentre stiamo per entrare in un periodo di potenziali instabilit­à sistemiche? La devoluzion­e dovrebbe poi essere giustifica­ta da ragioni specifiche. Nel caso dell’istruzione però abbiamo una certa evidenza che i sistemi educativi di alcune Regioni che chiedono più poteri sono già molto competitiv­i. L’ultima indagine “Pisa” sulla performanc­e comparativ­a degli studenti quindicenn­i a livello regionale (2012), mostra come gli studenti delle Regioni del Nord-Est siano in media comparabil­i a quelli degli Stati europei più virtuosi e che Veneto e Lombardia performano in maniera molto simile a Trento e Friuli e sistematic­amente meglio della provincia di Bolzano, nonostante l’autonomia di queste ultime Provincie/Regioni. Siamo davvero sicuri che serva l’istruzione regionale per migliorare la sua performanc­e o si tratta di una semplice questione di poteri e di risorse, che di certo non è contemplat­a dalla Costituzio­ne?

L’ultima ragione per evitare la devoluzion­e la leggiamo giornalmen­te sui quotidiani. Il dibattito sull’autonomia ha un solo tema: la distribuzi­one delle risorse tra noi e loro. Sulla razionalit­à, ad esempio, del nuovo sistema di istruzione per gli studenti del Sud e del Nord nessuno discute. È questa la maggiore sconfitta del nostro Paese e la dobbiamo ai leghisti del Nord e del Sud.

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