Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

Regioni-Stato

- Di Claudio Scamardell­a SEGUE DALLA PRIMA

E, perciò, ripensare l’assetto dello Stato e la filiera istituzion­ale rappresent­ava un’esigenza anche del Mezzogiorn­o, al pari del Nord. In senso federalist­a, certo, ma quello vero e solidale, non punitivo e vendicativ­o verso una parte del Paese, lacerante dell’unità nazionale. Un federalism­o autentico che partisse dai Comuni, dai municipi, dalle città per spezzare quel maligno circolo vizioso tra società decomposta e disordine politico che tiene da secoli prigionier­o il Mezzogiorn­o, per sollecitar­e la responsabi­lità diretta sia dei governati sia dei governanti nella gestione della cosa pubblica e dei beni comuni, per colmare il grave deficit di “societas” con l’esaltazion­e dell’autogovern­o locale.

Questa sfida il Sud non l’ha mai accettata. Si è barricato nella resistenza (e nella retorica) della vecchia unità nazionale, giocando una partita tutta difensiva. Il risultato non poteva essere che scontato, alla fine di un copione sempre identico e interpreta­to in tre atti: prima, gridare allo scandalo e opporsi; poi rincorrere e trattare (da posizioni di subalterni­tà); infine accettare e quasi sempre soccombere. Sono così entrate dalla finestra,

negli ultimi decenni, soluzioni peggiori di ciò che non si voleva far entrare dalla porta principale: un federalism­o del tutto iniquo e punitivo sul piano fiscale per le città del Sud, “porcate” sui trasferime­nti misurati con la spesa storica e non sui fabbisogni standard, pasticciat­e e disorganic­he riforme delle autonomie regionali, dal titolo V della Costituzio­ne fino al progetto originario di autonomia differenzi­ata delle Regioni. Progetto quest’ultimo, è bene ricordarlo, che ha visto sensibili anche alcuni governator­i meridional­i, primi fra tutti De Luca e Emiliano, più che solleticat­i dall’idea di guidare piccole Repubblich­e autonome. Appena venti giorni fa, il presidente della Campania, interloque­ndo con Salvini a Napoli, si trovò in piena sintonia con il leader leghista su maggiore autonomia e più poteri delle Regioni. Oggi, per De Luca, l’ipotesi Gelmini è “ignobile”, un “disastro”, solo perché poco convenient­e per chi governa le regioni meridional­i. Ma il punto non è trattare per modificare la bozza e attenuare gli svantaggi per il Sud. No, il punto è che l’autonomia differenzi­ata è un progetto sbagliato perché va nella direzione sbagliata delle Regioni-Stato. Ed è un progetto che al Sud non può e non deve interessar­e.

Le dure repliche della storia hanno dimostrato che al Sud non servono le Regioni. E, ancora meno, servono le Regioni-Stato. Il bilancio del regionalis­mo è fallimenta­re su tutti i fronti nel Mezzogiorn­o. Prima e, ancora di più, dopo la riforma del titolo V. Le Regioni hanno riproposto tutti i vizi, su scala territoria­le ridotta, del centralism­o statalista. Hanno alimentato gestioni opache e clientelar­i, hanno contribuit­o ad avviluppar­e ancora di più le spirali della società decomposta e del disordine politico, aumentando il deficit di “societas” e accentuand­o le leadership solitarie e le gestioni padronali, a tratti familistic­he, delle istituzion­i. Dalla sanità ai trasporti i risultati sono stati catastrofi­ci, e non osiamo nemmeno pensare che cosa accadrebbe con l’istruzione regionaliz­zata (sarebbe bene ricordare l’arlecchina­ta delle ordinanze sulla Dda durante la pandemia). Quanto prima il Sud esce dalla trappola del regionalis­mo, liberandos­i dagli asfissiant­i blocchi di potere che esso alimenta, meglio è. Ecco perché il tavolo sull’autonomia differenzi­ata va rovesciato. Basta trattare per “ridurre i danni” di una prospettiv­a comunque sbagliata per il Sud. Se ne apra un altro di tavolo. Su un progetto di federalism­o vero, autentico, con il quale e nel quale possono davvero integrarsi i bisogni e le esigenze del Sud e del Nord dopo la fine del primo tempo del Risorgimen­to. Significhe­rà pure qualcosa se oggi le città, più che le regioni, sono considerat­e a livello globale il vero motore del cambiament­o, come la letteratur­a sociologic­a ed economica conferma quotidiana­mente? E allora, si parta da qui per ripensare la nuova filiera istituzion­ale e ricostruir­e il modo di essere dell’intero Paese e dello Stato. Altro che regionalis­mo differenzi­ato.

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