Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
Regioni-Stato
E, perciò, ripensare l’assetto dello Stato e la filiera istituzionale rappresentava un’esigenza anche del Mezzogiorno, al pari del Nord. In senso federalista, certo, ma quello vero e solidale, non punitivo e vendicativo verso una parte del Paese, lacerante dell’unità nazionale. Un federalismo autentico che partisse dai Comuni, dai municipi, dalle città per spezzare quel maligno circolo vizioso tra società decomposta e disordine politico che tiene da secoli prigioniero il Mezzogiorno, per sollecitare la responsabilità diretta sia dei governati sia dei governanti nella gestione della cosa pubblica e dei beni comuni, per colmare il grave deficit di “societas” con l’esaltazione dell’autogoverno locale.
Questa sfida il Sud non l’ha mai accettata. Si è barricato nella resistenza (e nella retorica) della vecchia unità nazionale, giocando una partita tutta difensiva. Il risultato non poteva essere che scontato, alla fine di un copione sempre identico e interpretato in tre atti: prima, gridare allo scandalo e opporsi; poi rincorrere e trattare (da posizioni di subalternità); infine accettare e quasi sempre soccombere. Sono così entrate dalla finestra,
negli ultimi decenni, soluzioni peggiori di ciò che non si voleva far entrare dalla porta principale: un federalismo del tutto iniquo e punitivo sul piano fiscale per le città del Sud, “porcate” sui trasferimenti misurati con la spesa storica e non sui fabbisogni standard, pasticciate e disorganiche riforme delle autonomie regionali, dal titolo V della Costituzione fino al progetto originario di autonomia differenziata delle Regioni. Progetto quest’ultimo, è bene ricordarlo, che ha visto sensibili anche alcuni governatori meridionali, primi fra tutti De Luca e Emiliano, più che solleticati dall’idea di guidare piccole Repubbliche autonome. Appena venti giorni fa, il presidente della Campania, interloquendo con Salvini a Napoli, si trovò in piena sintonia con il leader leghista su maggiore autonomia e più poteri delle Regioni. Oggi, per De Luca, l’ipotesi Gelmini è “ignobile”, un “disastro”, solo perché poco conveniente per chi governa le regioni meridionali. Ma il punto non è trattare per modificare la bozza e attenuare gli svantaggi per il Sud. No, il punto è che l’autonomia differenziata è un progetto sbagliato perché va nella direzione sbagliata delle Regioni-Stato. Ed è un progetto che al Sud non può e non deve interessare.
Le dure repliche della storia hanno dimostrato che al Sud non servono le Regioni. E, ancora meno, servono le Regioni-Stato. Il bilancio del regionalismo è fallimentare su tutti i fronti nel Mezzogiorno. Prima e, ancora di più, dopo la riforma del titolo V. Le Regioni hanno riproposto tutti i vizi, su scala territoriale ridotta, del centralismo statalista. Hanno alimentato gestioni opache e clientelari, hanno contribuito ad avviluppare ancora di più le spirali della società decomposta e del disordine politico, aumentando il deficit di “societas” e accentuando le leadership solitarie e le gestioni padronali, a tratti familistiche, delle istituzioni. Dalla sanità ai trasporti i risultati sono stati catastrofici, e non osiamo nemmeno pensare che cosa accadrebbe con l’istruzione regionalizzata (sarebbe bene ricordare l’arlecchinata delle ordinanze sulla Dda durante la pandemia). Quanto prima il Sud esce dalla trappola del regionalismo, liberandosi dagli asfissianti blocchi di potere che esso alimenta, meglio è. Ecco perché il tavolo sull’autonomia differenziata va rovesciato. Basta trattare per “ridurre i danni” di una prospettiva comunque sbagliata per il Sud. Se ne apra un altro di tavolo. Su un progetto di federalismo vero, autentico, con il quale e nel quale possono davvero integrarsi i bisogni e le esigenze del Sud e del Nord dopo la fine del primo tempo del Risorgimento. Significherà pure qualcosa se oggi le città, più che le regioni, sono considerate a livello globale il vero motore del cambiamento, come la letteratura sociologica ed economica conferma quotidianamente? E allora, si parta da qui per ripensare la nuova filiera istituzionale e ricostruire il modo di essere dell’intero Paese e dello Stato. Altro che regionalismo differenziato.