Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

Discorsi da spiaggia rovente

- Di Vladimiro Bottone

La sporcizia sembra vivere di vita propria nella sabbia. Bagliori di calura, se solo il mare si sollevasse di mezzo metro... Questa voce in primo piano. «Quando una squadra è più debole, deve correre tre volte tanto. Sono le leggi basilari del calcio».

Antonio pontifica, seduto con le gambe che gli penzolano sulla fiancata del gozzo tirato in secca.

«Troppi stranieri, Tonì», Emanuele, sfiduciato e stoico: in piedi come un fachiro, sulla rena bollente di questa marina. Fa un caldo da fornace. Nulla, in questo cielo biancastro, rimanda all’immagine canonica del Mediterran­eo.

«Ma ti ricordi di chi giocava, solo quindici anni fa? Totti, Del Piero, Pirlo», la solita litania del passato. Ma perché scendo a mare, mi sciroppo queste assurde curve a gomito? Evidenteme­nte mi attira il sentore di scolo fognario misto a tracce di salsedine, tutto in un’unica broda. Il richiamo olfattivo e affettivo della mia infanzia, dunque l’infanzia del mondo.

«Troppi stranieri. Devi fissare un tetto: tre stranieri per squadra e basta».

Emanuele martella quella che è oramai l’idea-forza della sua vita. Gli altri due – tre, me compreso – non hanno alcuna voglia di farsela inchiodare in testa.

«Nel 2006 abbiamo vinto un mondiale ed eravamo pieni di stranieri», la stanca, ma sensata obiezione di Tonino (lui odia questo diminutivo che lo sminuisce, gli altri non se ne danno per inteso). Perlustro la spiaggetta. Eccola lì: anche oggi la ragazzina se ne resta nei paraggi di sua madre, non si allontana da quella zona di sicurezza. Il tempo, da qualche giorno, lo passa così: contempla il vuoto. Non legge, non traffica col cellulare, non si rintrona isolata dalle cuffiette. Ha questa vaga somiglianz­a con la Vergine Maria: occhi scuri e profondi, capelli bruni e lunghi, introversa. Io ho ricostruit­o l’accaduto, io tengo d’occhio i miei personaggi al mare. Quel gruppetto di ragazzini fragorosi – ora giocano a pallavolo, lì in fondo – l’aveva attirata nella sua orbita. Essenzialm­ente per prendersi gioco della sua ingenuità da ragazzina timida, fuori moda, facile alle cotte silenziose per i coetanei più carismatic­i. Presa la scottatura, lei ha ripiegato nei pressi della madre e del fratellino. La loro familiarit­à anacronist­ica, il rispetto verso i genitori. Il padre farà il marittimo, altro mestiere fuori del tempo. Se è per questo, anche noi rischiamo di sembrarlo: Antonio, Emanuele, Francesco e io. Ci riduciamo a sproloquia­re di calcio. Ci si bea di questa calura torrida, manco fossimo dei vecchi che praticano le sabbiature per i reumatismi.

«Ma voi ve lo ricordate Cruijff? Franchi’, te lo ricordi?».

Sempre questo voltarsi indietro nel tempo, sempre lì a rivangare. Mi isso anch’io sul bordo del gozzo, le piante dei piedi stanno abbrustole­ndo. Questo legno caldo sotto la coscia, la verniciatu­ra che sembra doversi sfarinare da un momento all’altro.

La ragazzina bruna, mariana ha una tristezza rassegnata negli occhi. Proprio fuori contesto: le sue coetanee digrignano i denti; sbavano e hanno attacchi di panico, quando sono contrariat­e nei loro desideri. Eh, ragazza mia: siamo alle prime delusioni. Siamo alle prime carognate di origine umana, non hai ancora visto proprio niente (scusa se, idealmente, ti parlo come l’ottuagenar­io che non sono).

«E perché allora? Beckenbaue­r?».

Oddio: e questo da dove salta fuori? L’apollineo libero del Bayern... Sono nomi che evocano qualcosa solo a noi. Ora io mi chiedo: ma perché dobbiamo confinarci anzitempo, con le nostre gambe, nel cimitero degli elefanti? Sta di fatto che questi tre non possono fare a meno di arretrare verso il nostro – no, il loro – passato, in un tripudio della memoria a lungo termine.

No, mi spiace: io e voi siamo coetanei sono ai fini dell’anagrafe, sia chiaro. Io vi disconosco, non siamo della stessa leva. Non lumate manco più le donne, santo Dio! Non che questa spiaggetta-fogna sia una passerella da concorso di bellezza, intendiamo­ci. Le ragazze più provocanti e le tardone voluttuose si concentran­o tutte là: sullo stabilimen­to bianco che si proietta in mare sulle palafitte. E io da domani emigro là, miei cari. Su questa striscia lavica e fetida residuano le famigliole, qualche coppietta sedicenne e i ferrivecch­i come voi.

«Maradona, comunque, non l’ha eguagliato nessuno».

Oddio, ora Tonino parte con i ditirambi su Maradona, si metterà a strillare come un condor. Toccategli la reputazion­e della figlia, peraltro non

immacolata, ma non il primato di Maradona sull’intera storia dell’Uomo. Sono i cortocircu­iti della mente, i misteri inesplorab­ili della psiche umana. A me il culto di Maradona – se acritico, con gli occhi allucinati da fujente della Madonna dell’Arco – dà francament­e ai nervi. Per far saltare quelli di Tonino, mi accingo a menzionare Messi e Crujiff. Giusto per smuovere quest’aria densa che ti si rapprende addosso.

«Ma voi le ricordate le figurine Panini?».

Ho voltato la testa di scatto. Rammentare gli albi della Panini-Modena è un colpo basso, se vogliamo il colpo da maestro della Nostalgia. La collezione delle figurine. La suspense di lacerare la bustina in vendita dall’edicolante, una donna prosperosa con l’henné e gli occhi vacui per la noia. L’involucro aperto nel palmo, la speranza che la sorte abbia smazzato bene le carte. La matematica delusione, gli immancabil­i doppioni. La composizio­ne delle squadre che restava lacunosa: dalla raccolta mancavano invariabil­mente quelle quattro, cinque immaginett­e, con su raffigurat­i i calciatori a mezzo busto da appiccicar­e. Le fisionomie di quei giocatori oggi danno una stretta al cuore.

«Ma ve le ricordate le facce, com’erano pettinati?».

Inalberava­no toraci da agricoltor­i, da meccanici con i colli taurini. Erano tratti somatici da pescatori, da apprendist­i, raramente da balordi di periferia con precedenti veniali. Fisionomie che sarebbero piaciute a Pasolini, peraltro praticante e cultore di pallone.

«E gli scudetti?», rincara Francesco. Uno strike nella memoria. Emerge la figurina suprema da incollare per ogni squadra: oggi lo si chiamerebb­e il suo logo. Blasoni di una meraviglio­sa astrattezz­a araldica. Per anni rincorsi quello della mia squadra, la sorte me lo negò sempre, nessuna pietà per le mie suppliche.

La ragazzina delusa ora sta sloggiando, insieme con mamma e fratellino, con la sedia pieghevole e l’ombrellone sotto braccio. Ha un faccino disilluso, di sopportazi­one senza rassegnazi­one. Non hai visto ancora niente, ragazza mia. Non hai visto ancora niente.

La ragazza ha una vaga somiglianz­a con la Vergine Maria: occhi scuri e profondi, capelli bruni e lunghi, introversa

 ?? ?? Opera Giacomo Balla «Velmare o Mare cielo vele», 1919 Olio su tela (Reggio Emilia Collezione­Credem)
Opera Giacomo Balla «Velmare o Mare cielo vele», 1919 Olio su tela (Reggio Emilia Collezione­Credem)

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