Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
Amore, morte e riso nelle poesie di Gianni Montieri
Quella zona non neutra, e non solo perché coincide con quella parte ellittica del campo di calcio in cui tutti i giocatori corrono avanti e indietro, calpestando l’erba fino a renderla terra. Si tratta della zona più frequentata, la più conosciuta. Quella che prevede gli ampi margini, i confini, al cui interno abitano le poesie che riescono a portare il volo oltre. Al modo dei testi racchiusi nella raccolta Ampi margini di Gianni Montieri, edita da LiberAria.
«Chiedersi del volo: fuori dallo stormo come l’aquila o l’armonico motivo del migrare». Il poeta non è mai colui che si accontenta.
Gianni Montieri, napoletano di nascita, è alla sua quarta raccolta di poesie. Si tratta di testi che possiedono il classicismo moderno di Pavese e della poesia che sconfina nella prosa, facendo delle sue opere testi decisamente inusuali.
Perché Montieri possiede la grazia dello sguardo che si fa spazio libero, osa tempi racchiusi in schemi che si conformano, di testo in testo, nell’immaginazione del lettore.
Perché ogni poesia di questo autore, così diverso e dal verso caratterizzato da suggestioni che si combinano fra di loro, amplia i confini, che si tratti del mare o all’ombra delle vecchierelle, carcerate, prostitute, musiciste, Montieri va alla ricerca sempre di uno spazio, che non è mai solamente interiore.
Certo, il territorio percorso è spesso impervio, ma è quello che tracciano i poeti. In questo, come nel campo di calcio, (ci) si gioca la crescita. La possibilità di recuperare falli e fallimenti, con l’unica certezza: la possibilità della corsa.
Fra strade, calli e luoghi indelebili nella memoria del poeta, la poesia ha la fattura di quella poetica della parola, cara a Ungaretti, per cui la scarnificazione e la parola ridotta all’essenziale, ristabilisce con il lettore una corrisposta abbondanza di emozioni contrastanti.
Chitammore è invenzione poetica di un termine, ossimorico, che concede amore, morte e riso. E con la morte Montieri dialoga spesso, rivedendo l’eredità d’affetti di padri nella Milano di Sesto San Giovanni, all’ombra di operai fantasmi.
Ma Ampi margini è anche tanto Sud, compreso quello ravvisabile in un nord in cui ciascun lettore si fa pifferaio magico. Di nostalgia è pervaso tutto il libro dell’autore LiberAria, sia che si tratti di versi, sia quando la prosa si innesta in una versificazione che pone il lettore sempre di fronte alla resa dei conti, al modo degli esami, zcontano tutti e tutti sono esami del sangue».
L’asincronia, l’asimmetricità e l’asintomaticità tornano utili per narrare le giovani vite, morte «già a vent’anni», sapendo che in tutto esiste «l’enfasi del racconto».
Montieri crossa al centro di un campo di indifesi, a cui barriera esistono i versi di una poesia che si fa di volta in volta erba, terra, cemento. In qualsiasi luogo si batta, l’idea della fuga resta una costante, nella consapevolezza che restare, invece, è (soprav)vivere agli scossoni di terremoti che dilaniano i confini interiori. Per questo «restare vivi è culo, è matematica».