Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

Penultima per gli stipendi La Puglia si scopre povera

Secondo l’Inps si guadagnano 6 mila euro in meno rispetto a chi lavora in Trentino Ma commercio e pubblica amministra­zione rendono più incoraggia­nte il confronto

- di Franco Lella

In Puglia gli stipendi più bassi d’Italia, peggio solo la Calabria, mentre galoppa il caro-vita che mette in difficoltà le famiglie. Una situazione complessa che ora rischia di diventare esplosiva per il forte divario tra le retribuzio­ni, stagnanti da troppi anni, e gli aumenti incalzanti dei prezzi al consumo. Ma andiamo per ordine. L’Osservator­io statistico dell’Inps ha diffuso i dati 2020 degli stipendi medi nelle diverse regioni d’Italia e nei diversi settori d’impiego. In cima alla classifica il Trentino Alto Adige (23.338 euro lo stipendio medio annuo lordo), segue l’Emilia Romagna (23.232 euro), il Friuli Venezia Giulia (23.127 euro) e il Piemonte (22.719 euro). Sopra la media nazionale (20.311 euro) anche Lazio (22.583 euro), Veneto (22.217 euro), Liguria (22.217 euro) e Lombardia (22.217 euro). Agli ultimi posti, invece, Basilicata (17.621 euro), Puglia (17.128 euro) e Calabria (16.161 euro).

Ininfluent­e ai fini dell’analisi il lieve e generalizz­ato migliorame­nto dei dati delle retribuzio­ni medie pre-Covid. In altri termini in Puglia un lavoratore guadagna 3 mila euro in meno rispetto alla media nazionale e 6 mila euro in meno rispetto a chi lavora in Trentino o in Emilia Romagna. Quanto ai settori, il paniere considerat­o dall’Osservator­io è formato prevalente­mente da artigiani, commercian­ti, autonomi agricoli, dipendenti privati, dipendenti pubblici e operatori agricoli. In Puglia a rendere meno traumatica la media della retribuzio­ne annua lorda è l’apporto dei settori: commercio (130mila commercian­ti –retribuzio­ne media 18.472 euro), dipendenti privati (724 mila lavoratori –retribuzio­ne media 15.327 euro) e dipendenti pubblici (221 mila lavoratori –retribuzio­ne media 33.742 euro).

Insomma in Puglia un lavoratore guadagna meno rispetto a chi lavora in altre regioni, ma attribuire tale disparità agli effetti correlati all’evasione fiscale e allo sfruttamen­to del lavoro è riduttivo. Analizzand­o asetticame­nte il guadagno medio annuo di un commercian­te o di un lavoratore dipendente di azienda privata, è facile pensare al «nero». Ma non è solo questo ad incidere. Il fenomeno è ben più ampio e riguarda l’intero territorio nazionale: la retribuzio­ne media annua di un lavoratore italiano è, sostanzial­mente, ferma da 30 anni ed è la più bassa d’Europa. A dimostrarl­o sono i dati di Eurostat (l’Istituto di Statistica Europeo) dai quali si rileva che negli altri Paesi dell’Unione europea, il guadagno medio annuo di un lavoratore, tra i 30 e i 49 anni, è pari a 26.850 euro. Per non parlare poi di altri Paesi che dell’Ue non fanno neanche parte, come la Svizzera dove il guadagno medio annuo di un lavoratore si attesta intorno ai 67 mila euro, ovvero più del triplo che in Italia, oppure i 40 mila euro annui percepiti dai lavoratori della Norvegia o della Svezia o della Danimarca. Inoltre l’Italia è l’unico paese Ocse (l’Organizzaz­ione per la cooperazio­ne e lo sviluppo economico) in cui gli stipendi sono diminuiti negli ultimi trenta anni del 3 per cento, contrariam­ente ad altri paesi come Germania e Francia dove gli aumenti sono stati superiori al 30 per cento.

Dunque l’Italia è stata troppo tempo ferma, immobile, senza fare passi in avanti per l’economia, per le famiglie e per i lavoratori oggi costretti a subire le conseguenz­e tracciate dalla strada della povertà. Infatti all’incalzare dei rincari le famiglie si sentono più povere, travolte da un’inflazione che a maggio ha toccato numeri record che non si vedevano dal 1986, quando fu pari al 7 per cento. Secondo le stime preliminar­i dell’Istituto nazionale di statistica, a maggio l’indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettivi­tà (Nic) registra un aumento del 6,9 per cento su base annua. Un ulteriore impennata che si riflette sul carrello della spesa con l’accelerazi­one dei prezzi dei beni alimentari, per la cura della casa e della persona e dei servizi relativi ai trasporti. Per non parlare poi dei rincari sull’energia. È evidente, quindi, che laddove si guadagna meno - come in Puglia - emergono con chiarezza le difficoltà ad arrivare a fine mese. E nella malaugurat­a ipotesi il conflitto in Ucraina dovesse subire un escalation tutte le stime verrebbero riviste con ulteriori e pesanti ripercussi­oni sul potere d’acquisto soprattutt­o delle famiglie. In questo scenario nel frattempo il governo Draghi sta valutando un intervento sul salario minimo e si prevede un intervento pluriennal­e di taglio delle tasse sul lavoro.

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