Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
Un giornalista sempre in prima linea Lorenzo Cremonesi e la «Guerra infinita»
Oggi a Mola di Bari (in streaming dall’Ucraina) per la prima giornata del festival «Del racconto, il film» Quarant’anni di battaglie, bombardamenti, morti e intrighi: dove le questioni etiche a volte perdono senso
La storia, la guerra, le «macerie umane» possono essere raccontate dal divano di casa o ex cathedra, ma soprattutto dagli scenari di guerra, dai campi di battaglia, descrivendo la vita che si consuma, i valori per i quali si può accettare la morte, le vite strappate di giovani e giovanissimi che in molte parti del mondo fanno il loro debutto in società impugnando un fucile.
A questa seconda scuola appartiene Lorenzo Cremonesi, inviato speciale del Corriere della Sera, in prima fila in queste settimane a raccontare la guerra alle porte di casa, l’aggressione russa dell’Ucraina, che tra tanti reportage giornalistici ad ogni latitudine, è riuscito a dare alle stampe un corposo volume dal titolo emblematico: Guerra infinita - Quarant’anni di conflitti rimossi dal Medio Oriente all’Ucraina, (Solferino, pp. 547, euro 22). Un viaggio (la prefazione è di Gilles Kepel che dirige il Middle East Mediterranean Program dell’Università della Svizzera italiana a Zurigo) ricco di personaggi, guerre, scontri tribali, interessi economici, più o meno occulti, attorno ad un tema - quello della guerra che il canone occidentale ha rimosso dal suo stile di vita, relegandolo al modo antico, primitivo, di popoli che non hanno conosciuto il secolo dei Lumi e le conquiste della civiltà occidentale e che risolvono le loro controversie con le armi.
No, dallo scenario descritto da Cremonesi, vivendo e descrivendo de visu le guerre endemiche che insanguinano
il pianeta, emerge una verità che l’Occidente opulento ha sepolto sotto lo scintillio dei consumi di massa: «La guerra è parte integrante delle vicende umane, e anche i periodi più tranquilli ne sono condizionati e in fondo minacciati». La generazione nata nel Dopoguerra, dopo gli orrori del secolo delle ideologie, cresciuta nei «trent’anni gloriosi», si è illusa di vivere nel migliore dei mondi possibili, nella libertà senza limiti, nella ricchezza diffusa, perché era
nata da questa parte, dalla «parte giusta». Mentre gli altri, miliardi di uomini, erano costretti a sopravvivere nei buchi neri in cui erano precipitati per essere dalla «parte sbagliata».
Cremonesi, nel suo diario, in cui intreccia livello privato e quello professionale - i racconti dei familiari delle due grandi guerre novecentesche, la scuola, l’università, gli anni di piombo, la fascinazione per il significato palingenetico dei primi kibbutz ebraici, fino ad un lento disincanto descrive un mondo diverso: non esistono oasi incontaminate, libere dal male e dalla crudeltà. L’Italia ha sopportato la tragedia della dittatura fascista e poi ha vissuto gli anni bui di una sotterranea guerra civile, tra comunisti e fascisti, le stragi, il terrorismo rosso, il rapimento e l’uccisione di Aldo Moro, le trame oscure di apparati occulti che avevano messo nel mirino la democrazia.
«Ho assistito - scrive Cremonesi - a tanti rovesciamenti violenti, dalle lotte di potere inter-palestinesi, sotto il tallone israeliano, alla fine del dominio talebano nel 2001 (e il suo ritorno nel 2021), alla caduta di Saddam Hussein, di Hosni Mubarak, di Muammar Gheddafi, fino al crollo dell’Isis». Il saggio si legge tutto d’un fiato poiché descrive protagonisti e avvenimenti degli ultimi quarant’anni, da Israele a Beirut del 1982, da Kabul («Parigi è donna, Kabul uomo»), all’agguato in cui perse la vita la collega Maria Grazia Cutuli, dall’Iraq alla sindrome di Nassiria, dalla primavera raba al corpo di Gheddafi («il suo cadavere pareva rattrappito, umiliato, alla mercé delle milizie»), ai migranti che scappano da Kabul dopo il ritorno dei talebani e la fuga indecorosa degli americani: («medici, imprenditori, studenti, informatici se scappate in Europa, cosa resterà del vostro Paese?»).
E poi la descrizione delle prime settimane della guerra in Ucraina: l’invasione, la sorpresa degli ucraini, la propaganda russa, i collaborazionisti, le stragi, le città sventrate dalle bombe. Un repertorio di barbarie che sembrava sepolto con la annunciata «fine della storia». Che non solo non è finita, ma prospetta e apre scenari inquietanti, mettendo in discussione gli equilibri del Dopoguerra, dividendo le società occidentali tra interventisti e pacifisti assoluti. Cosa vuole Putin? Qual è il suo obiettivo finale? «Putin – scrive Cremonesi - impone la logica primitiva della politica armata e l’Europa fatica a reagire, non è più abituata a questo modo di relazionarsi col resto del mondo, fatica persino a comprendere la volontà di resistenza dell’Ucraina». Abituati al primato dell’Io, ci si sorprende della resurrezione della logica del Noi.
Il conflitto è parte integrante delle vicende umane, e anche i periodi più tranquilli ne sono condizionati
Il saggio non è solo cronaca, ma affronta tematiche che il conflitto bellico riporta in evidenza: il significato della vita e della morte, il fanatismo degli jadisti islamici che affrontano il martirio con il sorriso sulle labbra, i giovani occidentali corsi ad affiancare i tagliagola dell’Isis, gli europei (pochi o molti è irrilevante) che in questi giorni combattono dalla parte dell’Ucraina. La guerra ripropone tematiche che erano state rimosse e che invitano a tornare a riflettere sui valori dell’esistenza e su cosa siamo disposti a perdere (che non sia solo ilcondizionatore) per difendere la libertà.