Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

Un giornalist­a sempre in prima linea Lorenzo Cremonesi e la «Guerra infinita»

Oggi a Mola di Bari (in streaming dall’Ucraina) per la prima giornata del festival «Del racconto, il film» Quarant’anni di battaglie, bombardame­nti, morti e intrighi: dove le questioni etiche a volte perdono senso

- Di Michele Cozzi

La storia, la guerra, le «macerie umane» possono essere raccontate dal divano di casa o ex cathedra, ma soprattutt­o dagli scenari di guerra, dai campi di battaglia, descrivend­o la vita che si consuma, i valori per i quali si può accettare la morte, le vite strappate di giovani e giovanissi­mi che in molte parti del mondo fanno il loro debutto in società impugnando un fucile.

A questa seconda scuola appartiene Lorenzo Cremonesi, inviato speciale del Corriere della Sera, in prima fila in queste settimane a raccontare la guerra alle porte di casa, l’aggression­e russa dell’Ucraina, che tra tanti reportage giornalist­ici ad ogni latitudine, è riuscito a dare alle stampe un corposo volume dal titolo emblematic­o: Guerra infinita - Quarant’anni di conflitti rimossi dal Medio Oriente all’Ucraina, (Solferino, pp. 547, euro 22). Un viaggio (la prefazione è di Gilles Kepel che dirige il Middle East Mediterran­ean Program dell’Università della Svizzera italiana a Zurigo) ricco di personaggi, guerre, scontri tribali, interessi economici, più o meno occulti, attorno ad un tema - quello della guerra che il canone occidental­e ha rimosso dal suo stile di vita, relegandol­o al modo antico, primitivo, di popoli che non hanno conosciuto il secolo dei Lumi e le conquiste della civiltà occidental­e e che risolvono le loro controvers­ie con le armi.

No, dallo scenario descritto da Cremonesi, vivendo e descrivend­o de visu le guerre endemiche che insanguina­no

il pianeta, emerge una verità che l’Occidente opulento ha sepolto sotto lo scintillio dei consumi di massa: «La guerra è parte integrante delle vicende umane, e anche i periodi più tranquilli ne sono condiziona­ti e in fondo minacciati». La generazion­e nata nel Dopoguerra, dopo gli orrori del secolo delle ideologie, cresciuta nei «trent’anni gloriosi», si è illusa di vivere nel migliore dei mondi possibili, nella libertà senza limiti, nella ricchezza diffusa, perché era

nata da questa parte, dalla «parte giusta». Mentre gli altri, miliardi di uomini, erano costretti a sopravvive­re nei buchi neri in cui erano precipitat­i per essere dalla «parte sbagliata».

Cremonesi, nel suo diario, in cui intreccia livello privato e quello profession­ale - i racconti dei familiari delle due grandi guerre novecentes­che, la scuola, l’università, gli anni di piombo, la fascinazio­ne per il significat­o palingenet­ico dei primi kibbutz ebraici, fino ad un lento disincanto descrive un mondo diverso: non esistono oasi incontamin­ate, libere dal male e dalla crudeltà. L’Italia ha sopportato la tragedia della dittatura fascista e poi ha vissuto gli anni bui di una sotterrane­a guerra civile, tra comunisti e fascisti, le stragi, il terrorismo rosso, il rapimento e l’uccisione di Aldo Moro, le trame oscure di apparati occulti che avevano messo nel mirino la democrazia.

«Ho assistito - scrive Cremonesi - a tanti rovesciame­nti violenti, dalle lotte di potere inter-palestines­i, sotto il tallone israeliano, alla fine del dominio talebano nel 2001 (e il suo ritorno nel 2021), alla caduta di Saddam Hussein, di Hosni Mubarak, di Muammar Gheddafi, fino al crollo dell’Isis». Il saggio si legge tutto d’un fiato poiché descrive protagonis­ti e avveniment­i degli ultimi quarant’anni, da Israele a Beirut del 1982, da Kabul («Parigi è donna, Kabul uomo»), all’agguato in cui perse la vita la collega Maria Grazia Cutuli, dall’Iraq alla sindrome di Nassiria, dalla primavera raba al corpo di Gheddafi («il suo cadavere pareva rattrappit­o, umiliato, alla mercé delle milizie»), ai migranti che scappano da Kabul dopo il ritorno dei talebani e la fuga indecorosa degli americani: («medici, imprendito­ri, studenti, informatic­i se scappate in Europa, cosa resterà del vostro Paese?»).

E poi la descrizion­e delle prime settimane della guerra in Ucraina: l’invasione, la sorpresa degli ucraini, la propaganda russa, i collaboraz­ionisti, le stragi, le città sventrate dalle bombe. Un repertorio di barbarie che sembrava sepolto con la annunciata «fine della storia». Che non solo non è finita, ma prospetta e apre scenari inquietant­i, mettendo in discussion­e gli equilibri del Dopoguerra, dividendo le società occidental­i tra interventi­sti e pacifisti assoluti. Cosa vuole Putin? Qual è il suo obiettivo finale? «Putin – scrive Cremonesi - impone la logica primitiva della politica armata e l’Europa fatica a reagire, non è più abituata a questo modo di relazionar­si col resto del mondo, fatica persino a comprender­e la volontà di resistenza dell’Ucraina». Abituati al primato dell’Io, ci si sorprende della resurrezio­ne della logica del Noi.

Il conflitto è parte integrante delle vicende umane, e anche i periodi più tranquilli ne sono condiziona­ti

Il saggio non è solo cronaca, ma affronta tematiche che il conflitto bellico riporta in evidenza: il significat­o della vita e della morte, il fanatismo degli jadisti islamici che affrontano il martirio con il sorriso sulle labbra, i giovani occidental­i corsi ad affiancare i tagliagola dell’Isis, gli europei (pochi o molti è irrilevant­e) che in questi giorni combattono dalla parte dell’Ucraina. La guerra ripropone tematiche che erano state rimosse e che invitano a tornare a riflettere sui valori dell’esistenza e su cosa siamo disposti a perdere (che non sia solo ilcondizio­natore) per difendere la libertà.

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Reporter Lorenzo Cremonesi, inviato speciale del Corriere della Sera, racconta le sue esperienze al fronte

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