Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

UN ARGINE ALLA CRISI DEI PARTITI

- di Francesco Strippoli

Tutti pazzi per il civismo. Non c’è solo Michele Emiliano a cantare le lodi delle liste civiche, capaci a suo dire di rivitalizz­are un mondo politico asfittico. Il governator­e è stato il primo ma di recente sono seguite autorevoli dichiarazi­oni da parte dei vertici nazionali del Pd. Vi aveva accennato lo stesso Enrico Letta in autunno. Dopo il voto del 12 giugno, è stato ancora più esplicito il vice segretario Giuseppe Provenzano. Il quale, intervista­to, così rispondeva una settimana fa: «Occorre intercetta­re quel grande bacino rappresent­ato dalle forze civiche che hanno dato un contributo determinan­te nelle realtà locali a costruire un progetto comune a tutte le forze politiche alternativ­e alle destre». C’è poi una notevole fetta del centrodest­ra pugliese che in maniera esplicita si è assegnato il compito di emulare Emiliano. Partiamo da qui. Lasciamo da parte il centrodest­ra che farebbe bene – prima di ogni altra cosa – ad allevare una propria credibile classe dirigente prima di pensare di assomiglia­re ad altri. Conviene concentrar­si sul Pd, dove il tema provoca sempre discussion­i laceranti, nel presuppost­o che le civiche sottraggan­o voti e consenso al Pd. La domanda è ovvia: se i vertici del partito hanno sdoganato le civiche, significa che Emiliano ha avuto ragione? In parte sì. Con onestà intellettu­ale, l’ex capogruppo in Regione Paolo Campo l’ha riconosciu­to nell’intervista di qualche giorno fa al nostro giornale («Michele ci ha visto prima, come per il M5S»). Tuttavia non è tutto così semplice.

Quando Letta, Provenzano e Boccia parlano delle civiche, essi alludono a un serbatoio di militanza cui attingere per irrorare la pianta del Pd, un fusto alto per i valori italiani ma fermo attorno al 20%, insufficie­nte per governare da solo. Chi sono i civici? Nel migliore dei casi: gruppi e singoli desiderosi di impegnarsi ma indisponib­ili a farsi rinchiuder­e nelle forme organizzat­e del partito politico (che evidenteme­nte respingono, soprattutt­o perché fuori moda). Nel peggiore dei casi: figure che sanno di non aver alcuna possibilit­à di successo in un contenitor­e organizzat­o dove è alta la concorrenz­a interna. I vertici dem guardano alle civiche come a soggetti cui succhiare energia per corroborar­e la performanc­e del partito: soprattutt­o nelle competizio­ni elettorali di tipo maggiorita­rio, dove occorre fare massa critica per ottenere risultati visibili. Per Emiliano la questione è diversa. Egli si proclama un aderente al Pd (non iscritto solo perché magistrato) ma marca una profonda distanza dal sistema dei partiti, tutti i partiti, anche il “suo”. È illuminant­e la frase pronunciat­a qualche settimana fa: «Il punto è che, grazie a Dio, anche senza partiti o comunque con una partecipaz­ione dei partiti non determinan­te, la Puglia ha messo a punto un metodo». Nella sua visione i partiti sono superati, sclerotizz­ati, cascami di una organizzaz­ione novecentes­ca della politica. Per altri versi, il corteo di civiche che lo sostiene è quel «coacervo indistinto» che gli è stato rimprovera­to dal Pd nazionale: buono, si intuisce, solo per sostenere le ragioni del leader. Sicché mentre il Pd pensa alle civiche per irrorare il partito, Emiliano pensa a loro come strumento per conservare il consenso: il proprio ma pure quello del Pd, come è stato osservato da chi in Regione dice che «senza Emiliano e le civiche non saremmo qui». Conclusion­e: il civismo potrebbe rappresent­are un argine alla crisi della militanza, il come farlo è da vedersi. C’è una sede in cui si può discutere: è il congresso pugliese del Pd. Così quelle assise potrebbero servire a qualcosa di più che eleggere un segretario.

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