Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

IL LINGUAGGIO DELLA VIOLENZA

- Di Leonardo Palmisano

Abramo ha tanti modi per uccidere Isacco. Può tagliargli la gola, come si faceva con gli agnelli. Oppure infliggerg­li il supplizio dell’autodistru­zione, offrendogl­i armi, droga e libertà fuori da qualunque regola morale. Quanto accade in Puglia, soprattutt­o nel centro-nord (da Bitonto a Orta Nova passando per Barletta) è l’effetto della sconsidera­tezza del crimine adulto nei confronti dei propri figli. Ragazzi cresciuti nel mito della violenza, mito che ha riempito il vuoto di valori generato dalle famiglie, si affrontano fino a mettersi a morte o fino a obbligare un locale, un bar, un pub a chiudere i battenti. Il tratto comune tra i diversi episodi è l’uso delle armi e della violenza come linguaggio, come codice intragener­azionale. Sembra di essere dentro una nevrosi giovanile, una reazione al disinteres­se degli adulti, anche quando gli adulti sono mafiosi conclamati che dovrebbero tenere al controllo del territorio. La società adulta mostra tutta la sua ferocia, limitandos­i a commentare quasi indifferen­te quel che accade o meditando furore e vendetta, come se un assassinio non fosse un fatto grave per tutti, ma un fatto privato.

Questi giovani non rispondono alla regola dell’autocontro­llo, dipendendo spesso da una miscela mortale di sostanze stupefacen­ti, le stesse spacciate dalle famiglie di provenienz­a o da quelle a cui sono contigui. Questi giovani non hanno alcuna consideraz­ione per il senso ed il valore del sacrificio e del lavoro, che sono il fondamento della tenuta sociale e dell’economia di un territorio, come a Bitonto. Questi giovani non si confrontan­o con un libro, con una lettura, con l’arma potente della parola da quando la strada e la famiglia (soprattutt­o quando famiglia di mafia) hanno preso il sopravvent­o e hanno demolito il ruolo della scuola. Quanto è duro dover ammettere il fallimento dei padri e delle madri, in questo susseguirs­i di episodi criminosi. Ai precedenti si devono aggiungere i tentativi di stupro dentro la movida barese, a danno di giovanissi­me vittime. Isacco, legato alla roccia da un vincolo di sangue, non svicola dal suo destino, ma lo precede. Si fa lusingare dal fascino del crimine e del crimine organizzat­o, si fa catturare da certa mitologia da fiction televisiva, si fa trascinare dentro il gorgo del finto eroismo e si sacrifica uccidendo o facendosi uccidere.

Ma Abramo cosa fa? Non dovrebbe intervenir­e, anche solo per garantirsi una progenie negli affari loschi? No. Preferisce continuare a giocare alla mafia dentro il club degli adulti aspettando che un angelo arrivi a destare la sua coscienza di genitore.

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