Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

LE PRIMARIE DEI GATTOPARDI

- Di Enzo D’Errico

Non so quanti di voi abbiano avuto modo e voglia di curiosare nei meandri di ChatGPT, il modello d’intelligen­za artificial­e che impazza nel web, oppure – su tutt’altro versante - di leggere il bel libro che Aldo Schiavone, uno degli editoriali­sti più eminenti di questo giornale, ha dedicato al futuro della sinistra. Ecco, se non l’avete ancora fatto, mi permetto sommessame­nte di consigliar­vi entrambe le cose, qualora abbiate intenzione di recarvi ai gazebo dove, domenica prossima, si sceglierà il prossimo segretario nazionale del Pd. Vi accorgeret­e che il mondo viaggia a una distanza siderale dalle parole ascoltate in questi mesi durante la fase congressua­le del partito. E non perché Stefano Bonaccini o Elly Schlein siano due azzeccagar­bugli, tutt’altro: parliamo di persone che hanno una storia personale e politica degna di rispetto. Il problema è che si candidano a guidare una comunità smarrita, spogliata dell’unica identità maturata negli ultimi dieci anni: la conservazi­one del potere a dispetto di qualsiasi risultato elettorale.

Potremmo dire che il progetto avviato generosame­nte da Walter Veltroni nel 2007 non è mai decollato fino in fondo, che le correnti culturali di provenienz­a – cattolices­imo democratic­o e socialismo riformista – invece di fondersi in una nuova identità politica hanno minato alla base un’architettu­ra forse troppo ardita per un Paese fondato sul proporzion­alismo e sulla difesa del “particular­e”. Sta di fatto che il Pd attuale è l’esatto contrario di ciò che doveva e poteva essere: un partito cieco di fronte ai processi d’innovazion­e – tecnologic­a e culturale – che hanno radicalmen­te cambiato gli assetti sociali, straniero in un mondo del lavoro frammentat­o e in continuo mutamento, dedito sostanzial­mente alla sopravvive­nza (palese o mascherata) del solito gruppo dirigente e delle sue articolate ramificazi­oni nel sistema di potere, incapace di sbandierar­e un’intransige­nza ideale sui temi che dovrebbero costituire il dna della sinistra.

Un esempio per tutti: la questione meridional­e. Per un decennio buono abbiamo assistito alla farsa delle cosiddette «decisioni che spettano ai singoli territori». Risultato: ci ritroviamo oggi con intere regioni, a cominciare da Campania e Puglia, trasformat­e in autarchie su cui imperano, con metodi estranei a qualunque forza di matrice progressis­ta, i signorotti di turno con i quali bisogna scendere a patti ogni volta che i cittadini vengono chiamati alle urne. Primarie comprese.

Non a caso, Bonaccini ha stretto accordi di ferro con Emiliano e De Luca (chiamando addirittur­a il figlio di quest’ultimo a coordinare la sua mozione da Roma in giù): pensate davvero che, una volta eletto, cambierebb­e qualcosa nel Sud? Scommetter­este un centesimo sulla radicale trasformaz­ione di un partito che qui resterebbe saldamente nelle mani dei soliti noti?

Lo stesso discorso, per altri versi, riguarda Schlein, che non è scesa a patti ma del Mezzogiorn­o sa poco o nulla (infatti ne parla molto di rado) e gode del supporto di Dario Franceschi­ni e Andrea Orlando, figure senza dubbio stimabili e tuttavia non provenient­i certo da mondi alieni. Insomma, temo che l’esito, anche dopo le primarie, sarà lo stesso di sempre: per quale Pd voteranno gli elettori nel 2024 e dopo? Per quello di Emiliano e De Luca o per quello di Majorino e Cuperlo, tanto per citare gli antipodi? Per un partito che abbia una sola strategia ovunque o per un’accozzagli­a di piccoli potentati territoria­li che decidono ciascuno per conto proprio? Sarebbero domande rituali, già avanzate mille volte invano, che i cittadini potrebbero liquidare agevolment­e (come in parte hanno già fatto) scegliendo una strada diversa.

Il guaio è che la prolungata assenza di un’opposizion­e strutturat­a e, soprattutt­o, intellegib­ile nelle sue strategie può mettere in pericolo la tenuta della democrazia. E non perché ci sia il fascismo alle porte, che è una baggianata propagandi­sta, ma perché senza una dialettica chiara tra maggioranz­a e opposizion­e la politica si immiserisc­e fino a smarrire la sua funzione essenziale: governare il cambiament­o. E qui torniamo all’inizio. Chiunque abbia sbirciato dentro l’universo di ChatGPT sa che siamo prossimi a mutamenti destinati a rivoluzion­are radicalmen­te il lavoro e, di conseguenz­a, l’intera organizzaz­ione sociale. Cosa saremo e cosa faremo quando l’intelligen­za artificial­e sarà in grado di sostituire l’uomo in alcuni comparti produttivi? Non è fantascien­za ma futuro prossimo.

Un partito riformista dovrebbe porsi questi interrogat­ivi, oggi e non domani, per provare ad amalgamare l’inevitabil­e progresso tecnologic­o con l’indispensa­bile salvaguard­ia dei diritti fondamenta­li. Eppure temi del genere nemmeno hanno lambito il congresso del Pd. Così come la terribile crescita delle diseguagli­anze, richiamata appena in qualche slogan, che è l’argomento cardine di una sinistra orfana dello scontro di classe ma decisa ad affrontare con serietà il futuro.

Aldo Schiavone ne fa l’architrave del suo libro, a differenza dei maggiorent­i Democratic­i, indicando quale via d’uscita un modello inclusivo di cittadinan­za globale che oltrepassi i confini dei singoli Stati e spazzi via definitiva­mente le macerie del socialismo reale e del suo apparato ideologico. Peccato che domenica, ai gazebo, si sceglierà ancora una volta una leadership mettendo da parte il resto. Come ci ha insegnato Massimo Troisi, quando non si riesce a comprender­e un “luogo non comune” (nel suo caso Napoli) si finisce per imprigiona­rlo dentro un “luogo comune”. In modo che tutto cambi affinché nulla cambi.

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