Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
SE CONTA SOLO UN VOTO IN PIÙ
Il risiko applicato alla politica. La teoria dei giochi appare sempre più efficace per comprendere le dinamiche politiche, sia a livello nazionale che a quello locale. Prevale sempre più la logica del gioco a somma zero (chi vince e chi perde), con la inevitabile militarizzazione del pensiero politico per cui, ciò che conta, è solo vincere e prendere un voto in più di alleati e/o avversari. La politica come una partita di calcio: vincere è tutto, anche se con un gol in fuorigioco. Così sia Meloni che Schlein potrebbero candidarsi alle Europee pur nella certezza che nessuna delle due varcherà il Parlamento di Bruxelles, “gabbando” l’ignaro elettore che le voterà. Così è, se vi pare.
Ciò che accade in periferia non è che un riflesso amplificato delle dinamiche centrali. A destra, è in atto il braccio di ferro tra Meloni e Salvini, con la prima che intende capitalizzare la stagione favorevole (caso candidatura in Sardegna), riaffermando i mutati rapporti di forza con il più insidioso alleato. Tutta la storia della prima repubblica andava in altra direzione, con la Dc che non umiliava repubblicani e socialdemocratici, ma nella seconda o terza repubblica, la parola d’ordine è: non si fanno prigionieri. Anche la Schlein ha i suoi problemi di sopravvivenza politica, per cercare di tenera a bada la concorrenza di Conte nel campo della sinistra, poiché il suo arrivo non sembra avere dato la scossa necessaria al Pd ancorato attorno al 20% e di lì non sembra smuoversi.
Le dinamiche nazionali hanno un inevitabile riflesso in Puglia, a partire dalla vicenda barese. Il dibattito sembra oscillare attorno alla gestione delle “spoglie” del decarismo e della sua eredità politica. Proseguire sulla strada della continuità o cambiare paradigma? Il Pd, con i suoi organi ufficiali, propone la prima strada e il solito rituale: primarie, sfida tra due o tre candidati. Strumento che mostra crepe evidenti, al di là di manipolazioni e contaminazioni. La logica delle alleanze (a partire da quella con il M5S), mal si concilia con il redde rationem dell’imbuto dell’urna, in cui chi è più forte ed organizzato parte da un indubbio vantaggio. Poi, contraddizioni in termini: sì può criticare la logica insita nella riforma costituzionale – il plebiscito per eleggere il premier – e poi esaltarla nelle proprie consultazioni interne? Così se Petruzzelli, apprezzato assessore comunale, accelera i tempi, si candida a sindaco del capoluogo regionale, suscitando perplessità nel quartiere generale del Pd, e se altri candidati congelati (Romano e Lacarra) si ritrovano, a questo punto, legittimati a fare altrettanto, non è difficile prevedere – come sta accadendo – che il penalista Laforgia resti sulle sue posizioni. E non faccia un passo indietro.
La città è governata da vent’anni con uno stesso canone politico-culturale: in uno scenario, evidentemente mutato, la sinistra dovrà decidere se andare sull’usato sicuro (un pd o Leccese) o se cambiare del tutto paradigma (Laforgia). Il tutto, poi, è reso più incandescente, con la proposta da parte della Lega di eliminare lo stop al terzo mandato dei presidenti di Regione che rimetterebbe in corsa la variabile-Emiliano, con i riflessi che il nuovo scenario avrebbe anche nella risoluzione della querelle amministrativa barese.
Anche a destra l’aria che tira annuncia burrasca. La coalizione perde con candidati politici o civici da un ventennio. E in questa fase, i problemi di formazione di una adeguata classe dirigente locale si intrecciano con la maretta nazionale. Che alla fine la scelta del candidato barese diventi materia di compensazione con altre partite in atto a livello nazionale è tutt’altro che ipotetico. Bari, quindi, come una “posta” per trovare la quadratura per le tre anime della destra: il ticket, di cui si vocifera, tra Romito e Melchiorre, parrebbe la soluzione indolore per non lasciare sul terreno vinti e vincitori. Salvo che alla fine non la spunti la soluzione civica.
Certo, per la destra la partita appare più tormentata: perdere per l’ennesima volta a Bari, nonostante l’exploit della leadership Meloni, sarebbe difficile da giustificare e digerire. Non a caso, Fitto, affaccendato in questioni molto più gravose di quelle baresi, tende a starne lontano. Della serie: nessuno associ il mio nome ad una eventuale deblacle elettorale.