Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
L’«Universo cosmico» di Michele Zaza a Foggia
La ricerca di Michele Zaza (Molfetta, 1948) è da tempo concentrata sul corpo, da lui elevato a strumento di mediazione tra terra e cielo in una sorta di circuito neoplatonico. Tale corpo, suo o dei familiari, è fotografato con oggetti ricorrenti, il pane, la pietra, la scala, la corda, l’orologio per sviluppare arcane simbologie. Spesso concentrandosi su volti bloccati da una fotografia che ne evidenzia la plasticità, piuttosto che registrarne le emozioni, e sui quali compaiono anche stesure di blu. Il colore dello spirito per antonomasia, aderente per contrappasso alla materia vivente di pelle e carne, per questo sottoposta a una concettuale trasfigurazione in corpo celeste. Oppure le facce si colorano di bianco e partecipano a stringate performance o, ancora, sprofondano nell’ovatta, che per l’estrema leggerezza suggerisce potenziali levitazioni. Parte di questa produzione è, da sabato 20 gennaio, visibile nella personale «Universo cosmico» alla Contemporanea Galleria d’Arte di Foggia (fino al 25 febbraio) che seleziona circa cinquant’anni d’attività di uno degli artisti più internazionali di Puglia. Formatosi a Brera e, in quell’ambiente milanese, interessato all’astrattismo, Zaza costruisce un brillante percorso professionale con le migliori gallerie italiane, da Inga Pin a Lucio Amelio, muovendosi anche all’estero in contesti prestigiosi (Leo Castelli Gallery di New York, Centre Pompidou di Parigi, il Walker Art Center di Minneapolis e la Nationalgalerie di Berlino). Comincia, negli anni Settanta, a utilizzare la fotografia per documentare la messa in scena di minimali azioni performative condotte sul suo mondo privato, mettendo in scena corpi ieratici, seduti, capovolti, eretti, di profilo. Dice di pensare per immagini e, del resto, le sue immagini, scrive Germano Celant, «visualizzano una conoscenza e una concezione della vita, alla base di un progetto esistenziale nel quale attori e spettatori entrano quotidianamente». Soprattutto, quando con la fotografia indaga, in un intenso bianco/nero, il versante antropologico di un Sud dove affiora un vissuto arcaico, affidato alla schietta eloquenza dei suoi soggetti e replicato in sequenze che invadono lo spazio. Negli anni il lavoro di Zaza ha subito una coerente evoluzione, sperimentando variazioni per mani e volti, impegnati a compiere azioni, a mimare forme, in linguaggi che hanno contemplato oltre la fotografia, la scultura, le installazioni ambientali e il video.