Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
MORIRE DI POVERTÀ NELL’INDIFFERENZA
Quando muoiono due senzatetto c’è poco da dibattere. Bari deve specchiarsi moralmente nella sua indifferenza. La cinica indifferenza di un mercato immobiliare cattivo con chi non ce la fa, con i poveri con e senza lavoro. Questi senzatetto non sappiamo se aumentino, ma di certo si distribuiscono ben oltre il Murattiano, anche perché scacciati in malo modo da altri, più centrali rioni. Persone, esseri umani nati o caduti nella rete uncinante della fame, della malattia, dell’alcolismo. Chi sono questi nostri conviventi? Chi sono questi ospiti a cui non diamo ristoro, né conforto, né lavoro? Non comprendiamo, perché privi di umana compassione, che ogni senzatetto è davvero lo specchio nel quale si riflette una città con le sue velleità. È velleitario, infatti, pensarsi con grandi visioni abitative se poi nelle strade c’è chi fa del cielo un tetto e di un cartone un letto. È velleitario pensare alle sole periferie come centro di aggregazione dei poveri, quando è in centro che insorge la segregazione dei poveri: poveri che ti raccontano senza pudore la loro esistenza con la loro ossuta presenza. È infine velleitario ridurre le questioni sociali a fatti emergenziali quando le tendenze alla povertà e all’apartheid contro i poveri sono in atto da quando non produciamo più lavoro lungo e stabile.
Se non ragioniamo sui tempi lunghi e medi, dicono gli economisti seri, dall’impoverimento non usciamo. Impoverimento che genera frustrazione, rabbia, incontenibile desiderio di farsi male. L’autolesionismo è diffuso tra i senzatetto più giovani. Perché pensano a sé come dei relitti dal legno ancora giovane, ma sottoutilizzato. O perché sono circondati da legni marci a cui preferiscono assomigliare presto. Qual è la socialità, l’affettività, la sessualità dei senza fissa dimora? Ce lo domandiamo mai? No, perché ci fa ribrezzo pensarli come noi, con la nostra igiene, il decoro, la pulizia. Gli stessi igiene, decoro e pulizia che mal tollerano gli odori, le sconcezze, l’impudicizia della povertà. Li vediamo scacciati dalle librerie, dai supermercati, dai portici di Corso Italia. Li tolleriamo fuori delle parrocchie, ma non li vogliamo a dormire dentro il portone di casa. Non è respingendola che la povertà sparisce. La povertà è una cosa fluida, che appare e ricompare come le maree, come la luna piena. È ciclica, soprattutto quella da lavoro, ma non per questo dev’essere accettata come fosse irreversibile o ineluttabile. E va accompagnata a un livello più alto di benessere, con la partecipazione di tutti. Facciamo comunità e lavoro per i poveri, questa la ricetta. Perché domani o dopodomani poveri saremo anche noi.