Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
Con «Bossolo» torna la coppia Palumbo-Onnis
Uno regista e autore, l’altro interprete nei panni di un boss mafioso che monologa su tutto
Al cuore della mentalità mafiosa. Atteggiamenti, regole di vita, codici di linguaggio che non appartengono solo a chi sceglie la via dell’illegalità, ma che fanno parte anche del bagaglio di molti meridionali. «Dall’esperienza diretta di venticinque anni vissuti in uno dei quartieri più popolari di Bari è nata la voglia di analizzare e comunicare il mio punto di vista riguardo l’essenza della filosofia mafiosa», spiega l’attore e regista Antonio Palumbo, autore di Bossolo, un monologo prodotto dalla compagnia Tiberio Fiorilli di cui è protagonista Totò Onnis, al debutto stasera alle 20.30 al Teatro Kennedy di Fasano per la stagione teatrale della città, realizzata in collaborazione con il Teatro Pubblico Pugliese.
In realtà Palumbo e Onnis, già insieme come regista e attore protagonista del docufilm Varichina - La vera storia della finta vita di Lorenzo De Santis, riprendono un testo scritto e messo in scena nel 2004, incentrato su un giovane boss della malavita barese: «Lo scrissi di getto quando stavo a Roma, avevo un coinquilino catanese esperto di mafia, mi fece leggere tanti libri sul tema – racconta Palumbo – ma avevo già una curiosità per quegli atteggiamenti della gente del
Sud, quell’essere minacciosi senza minacciare, quei codici di sopravvivenza che sviluppiamo nel tempo. Totò - continua lo avevo conosciuto su un set di
Nico Cirasola, accettò di farlo perché gli era piaciuto molto il testo. Di lì è nata un’amicizia culminata nell’esperienza di Varichina. Oggi siamo tornati entrambi stabilmente a vivere a Bari, è il momento di riprendere questo testo divertente e drammatico al tempo stesso». Con i dovuti aggiornamenti. Oggi il boss è un uomo di mezza età che si trova a confrontarsi, forse per la prima volta con se stesso. Di fronte al pubblico come davanti a uno specchio mentre, da fuori, sentiamo delle sirene. «Lui, sicuro di sé, pontifica sulla religione, sull’educazione dei figli, persino sul ragù. Però c’è un colpo di scena finale che cambia un po’ le carte in tavola».
Onnis è anche la madre del boss: intenta a mescolare il ragù nella cucina di casa sua, una domenica del 1964, che, all’inizio dello spettacolo, tenta di svegliare il figlio ancora a letto nella propria stanza: «da lei scopriamo il background del protagonista, storie di famiglia non così diverse dalle nostre». Con un salto temporale, scandito dalle notizie della sua escalation criminale, lo ritroviamo nel suo studio, oggi; c’è un morto nella stanza e il boss dietro la scrivania, «simile a molti boss che ho visto nella mia vita, molto diversi dai criminali in giacca e cravatta di cui sentiamo parlare adesso; quelli erano personaggi buffi, ignoranti, sempre sopra le righe, ma capaci di esplodere con violenza se non facevi quello che volevano. Una malavita diversa da quella delle altre regioni che prima de LaCapagira non era mai stata rappresentata».