Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
Tra Stato e mercato la creatività muore
«La cultura non basta – sostiene Pepe Mujica, ex presidente dell’Uruguay – se non ci aiuta a porci le domande che vale la pena farsi, finché l’uomo resterà l’unica creatura sulla terra capace di agire contro la propria specie, finché non sceglieremo di riparare cose invece di buttarle via, di comprare una macchina piccola…». Sono queste parole-monito, che ha fatto proprie Luigi De Luca, semiologo e professionista della gestione del patrimonio culturale in una prospettiva di cooperazione territoriale, scrivendo un saggio dal titolo La cultura non basta. Contro l’industria della cultura, per un’arte di comunità (Edizioni dell’Asino).
Si tratta di un libro importante perché, facendo proprie le esigenze e le problematiche di chi si occupa di cultura, sia dal punto di vista di chi organizza che da quello di chi deve muovere la macchina burocratica e amministrativa intorno a cui si muove la cultura, De Luca scrive un saggio filosofico. Non perché vi sia un semplice apporto teorico e neanche teoretico alla cosa, ma perché offre a chi legge anche il senso dello stesso lavoro del lettore, che con chi scrive, al modo dello spettatore con un regista o dell’ascoltatore con un musicista, si fa interlocutore. Per immaginarsi un’esistenza differente.
L’autore, che ben conosce la macchina industriosa e, ahimé, industriale intorno a cui si muovono il cinema, il teatro, la musica e ogni forma d’arte, scrive un’opera circolare: parte dalla constatazione della dismissione delle comunità locali, per giungere ad augurarsi che possa esistere un nuovo modo di far politica culturale, attraverso un «modello cooperativo che abbia alla base una mutualità culturale e sociale prima ancora che economica». De Luca riflette sul vero
senso che è necessario assegnare al processo creativo, che non è semplicemente funzionale all’economia, utile a «far soldi», a procurare eventi ed esperienze che lascino il segno o che servano alle amministrazioni per risolvere il problema dell’organizzazione dell’estate o di altre stagioni. Perché, spesso, tutto ciò
non ha nulla a che fare con la cultura. Quella che trasforma con creatività la realtà, e si fa processo profondo che interseca le vite umane. Quindi, c’entra l’etica delle cose: «L’industria culturale ha fornito ai mercati formidabili strumenti di manipolazione della volontà degli umani».
Per questo La cultura non basta è un libro contro l’industria della cultura, specie quando questa intreccia la sua esistenza con l’avanzata del capitalismo e in esso lo Stato e il mercato che «hanno soppiantato i tradizionali legami di solidarietà costitutivi della comunità - scrive De Luca -. Lo Stato attraverso i suoi funzionari e il mercato attraverso la propaganda hanno ridisegnato l’universo dei bisogni e delle aspettative di un’umanità privata degli ancestrali punti di riferimento e trasformata in massa amorfa». Tutto ciò con anche una ricaduta che determina «la marginalità economica e sociale, destino a cui sono condannate molte esperienze artistiche», riducendo gli stessi artisti a mestieranti di carte, formulari e bandoni, a scapito della creatività indispensabile a quell’arte di comunità che avvalora, ricrea e rigenera tutti. Senza distinzioni.