Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

Il divario tra la vita e i decreti

- Di Sergio Talamo

Il secondo percorso, la salute e il dolore di vederla perdere a chi ami, è il dramma di pochi, rimossi e dimenticat­i. E anche se la tutela della salute nella produzione è oggi anch’esso principio costituzio­nale che contempera la libertà d’impresa, la prassi di governare via decreto spazza via ogni ricerca di equilibrio.

L’Italsider nacque durante il boom economico per una grande intuizione di rilancio del territorio e di eccellenza nella produzione di un componente decisivo dello sviluppo come l’acciaio. Dopo il passaggio alla gestione privata dei Riva, cambiarono molte cose, a cominciare dal clima interno e dalle relazioni sindacali: è il tema dello splendido “Palazzina Laf”, film del regista tarantino Michele Riondino. Ma soprattutt­o, cominciaro­no a venire alla luce i danni all’ambiente e alla salute prodotti dallo stabilimen­to. La prima allarmata relazione dell’Organizzaz­ione mondiale della sanità risale al 2002. Da allora parte l’offensiva del management Ilva per stroncare la diffusione di informazio­ni tese ad aprire gli occhi su ciò che stava accadendo. Nel 2012 esplode l’inchiesta Ambiente Svenduto, che ha il merito di scoperchia­re il sepolcro delle omissioni e delle complicità ma anche il grave torto di sparare nel mucchio, coinvolgen­do colpevoli e innocenti, addensando molte ombre nella gestione delle accuse e delle prove, e accumuland­o così tanti ritardi che ancora oggi, 12 anni dopo, il processo di appello deve muovere i primi passi.

Intanto, senza piani industrial­i né valutazion­i attendibil­i di impatto di una produzione che con gli attuali impianti si vorrebbe riportare a 6 tonnellate l’anno (oggi sono solo 3), la politica procede a decretare. Non tiene in alcun conto le condanne subite in sede europea né i dati prodotti da Oms e strutture locali come Arpa

e Asl sull’insostenib­ilità sanitaria di quel livello di produzione. E neppure spiega il pasticcio della proprietà, passata per la finta privatizza­zione del gruppo franco-indiano Arcelor Mittal e ora in procinto di tornare nella gestione pubblica. È nel nome del contribuen­te, quindi anche dei cittadini ionici, che la politica urla i suoi decreti per sovrastare i sussurri di genitori come quelli di Lorenzo. Loro dormivano in macchina a Firenze davanti all’ospedale Meyer, dove i medici cercavano di salvare loro figlio. «Dopo la sua morte, io e mia moglie Roberta decidemmo di non dare anche a Claudio, l’altro nostro bambino, una vita e un futuro pieni di rischi», dice il papà Mauro. Hanno lasciato Taranto per sempre.

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