Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
L’orecchino ritrovato nd
La periferia di sera, ai bordi di Torino. L’aria vetrificata dal gelo. La sfumatura azzurrina dei cumuli nevosi. Davide sbuffa condensa, spala per scavare un sentierino percorribile dagli irriducibili che, domani, torneranno a nuotare qui in piscina. Ale, il gestore, non ha mai impugnato un attrezzo da lavoro, in vita sua. Non gli compete: lui è un ex olimpionico, ha respirato l’aria dell’Olimpo. Agli occhi di Davide, in effetti, quell’uomo appare un mezzo semidio. E non solamente ai suoi, del resto. Le abbonate alle piscina si danno di gomito, quando sorseggiano una bevanda salutista nell’angolobar. Lo adocchiano senza darlo a vedere, com’è tipico delle femmine. Sono rosee, umide, languide per lo sforzo delle vasche. Se gli avanza tempo, Ale si trattiene con loro. In genere è scherzoso, ha il sorriso accattivante di non incontra mai problemi con le donne.
Davide si raddrizza, ha le giunture doloranti. Prende fiato, si appoggia sulla pala tenuta in verticale. Sa che poi dovrà rendere conto al semidio: Ale esige che il marciapiede sia praticabile con qualsiasi tempo. Dopo, Davide dovrà ancora spargere qualche manciata di sale. Ale non ha troppa pazienza con gli incapaci, i fannulloni. Per di più Davide è solo un ragazzotto in prova. L’altra prova lui l’ha fallita in modo inglorioso, qualche mese fa (altro sale, altro sale sulle ferite). Lo sbarramento del test per l’ammissione a Medicina: un sesto grado senza appigli, per lui. In attesa di rimettersi in piedi dopo la batosta, Davide si è adattato al lavoro in piscina. Sanifica cessi e docce. Passa lo straccio negli spogliatoi. Subisce le sfuriate di Ale. Sgrassa le piastrellature. Una routine alienante e umiliante; un’espiazione da mandare giù.
Il ragazzo riprende a spalare, ora come ora non merita altro. Unica mitigazione della pena: incrociare Eva, ogni tanto. E’ incredibile che si chiami proprio così, le avranno italianizzato il nome. Lei proviene dall’Est come tutta questa neve; sul lavoro non dà confidenza a nessuno. E nessuno si capacita che una simile bellezza debba subire gli umori della clientela alla reception, per guadagnarsi da vivere. Una volta, in orario di chiusura al pubblico, Davide ha avuto la fortuna di spiarla non visto. Quello sciabordio nella vasca, il gioco di riflessi acquamarina, un nuoto dalle bracciate che si allungavano fluide, calme. Poi, tutt’a un tratto Eva si era immersa completamente, per scivolare sotto il pelo dell’acqua. Lui l’aveva persa di vista finché non era riaffiorata, all’estremità della corsia deserta. Lì si era appoggiata con le braccia al bordo della vasca, la cuffia non alterava minimamente la bellezza dei lineamenti. Eva lasciava galleggiare le gambe tenendo gli occhi chiusi. L’offerta dei suoi occhi chiusi, l’abbandono di quel corpo che sarebbe stato bello possedere sul momento. Con tutta la furia, la fame di rivincita, la sofferenza del desiderio.
Lo scossone alla porta vetrata, quella d’ingresso. Davide è già tornato in sé. Eva che sta scendendo i pochi gradini solo in maglione e jeans, come se la temperatura esterna non la riguardasse. Incredibilmente è verso di lui che la ragazza punta, come se dovesse chiedere aiuto. Sembra ansimare, proprio lei che non si scompone mai.
«Ho perso un orecchino», affranta. Davide, viceversa, avverte un crac di contentezza spaccargli il petto. Incredulo, riesce solo a biascicare: «com’era fatto?».
«Dorato, con clip», Eva sembra gemere, come i suoi passi sulla neve prima, «non lo trovo più. Vedi se è caduto qua davanti, ti prego».
Dopodiché scappa via sconvolta, senza lasciargli neanche il tempo di fiatare. Del resto non gli sarebbe riuscito, la coincidenza e uno sbocco di felicità lo stordiscono. Perché lui, in realtà, quell’orecchino lo ha già ritrovato, è al sicuro nella tasca interna del suo giubbotto. Il pendente con incastonata una pietra che sembra ora blu, ora celeste. Davide l’aveva notato all’inizio del suo giro di pulizie interne, proprio là: sul lavabo dello spogliatoio femminile. Forse qualcuna l’aveva raccattato da terra e messo in bella mostra, affinché saltasse all’occhio della proprietaria. Può darsi sia andata così. Ad ogni modo lui l’aveva intascato subito, l’oggetto smarrito; si era ripromesso di consegnarlo in segreteria il mattino dopo, alla riapertura.
Il ragazzo conficca la pala nella neve, non può evitare di seguire con lo sguardo le orme di Eva lungo la poltiglia del marciapiede. Non può fare a meno di affrettarsi a raggiungerla. Per la prima volta, lui ha preso consistenza agli occhi di Eva.
Ora anche il ragazzo è dentro, per la prima volta si sente straniato dal silenzio postchiusura della piscina. Per la verità, non si tratta mai di una silenziosità totale. In genere, hai come la percezione di un rumorio continuativo di tubazioni e impianti che lavorano a un basso regime, come in sonno. Stavolta il sottofondo è dato da due voci accese che si accavallano. Davide è un introverso, non si impiccia mai nelle questioni degli altri. In questa circostanza si lascia guidare dall’alterco, lui lo ha localizzato al fondo di questo lungo corridoio che prende il riverbero dell’illuminazione generale. Ora il ragazzo se ne sta immobile davanti alla porta del capo. Il suo cuore prende a galoppare: Ale ed Eva, non ci sono dubbi. Una scenata che esula dal rapporto fra dipendente e principale, non ci sono dubbi. È così, allora. La voce stravolta dell’uomo ha il sopravvento.
«Puttana! Adesso andiamo al motel dove tu e quell’altro vi incontrate. Ti faccio vedere se l’orecchino non lo troviamo subito! Puttana... Ci vai a letto con un mio regalo addosso».
La seconda voce più acuta si protesta innocente. Ha ragione, eppure sembra ipnotizzata e indebolita dall’accusa che la sta facendo a pezzi. In teoria Davide potrebbe fare dietrofront, disinteressarsi della faccenda. Oppure intervenire, dimostrare la lealtà di Eva, costringere il grand’uomo a implorare perdono. Davide, il suo primo colpo di nocche contro la porta, senza seguito. A questo punto fa direttamente leva sulla maniglia. I due lo fissano interdetti, non sembrano neanche riconoscerlo. Il ragazzo ammette solo Eva nel proprio campo visivo, protende il braccio verso di lei.
«Per fortuna mi hanno richiamato dall’albergo. Avevi dimenticato questo».
Il sorriso del ragazzo: immenso, lento come il palmo che si va aprendo. La luce dell’acquamarina si espande come un’immensa, lenta onda d’urto.
Il pendente con incastonata una pietra che sembra ora blu, ora celeste. Davide l’aveva notato all’inizio del suo giro di pulizie interne, proprio là: sul lavabo dello spogliatoio femminile. Forse qualcuna l’aveva raccattato da terra