Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

Candida L’amore è come la vita: bisogna osare e saper cambiare se si vuole crescere

- Di Candida Morvillo Gianni

Cara Candida, finisco sempre con uomini sposati, non me ne vanto, ma non mi dispiace. Il fatto è che, già da bambina, guardavo le famiglie e le vedevo soffocanti. Inclusa la mia, ovviamente. La mia era una di quelle in cui «si sta insieme per il bene dei figli». Quando la sera cenavamo tutti insieme, si spegnevano tutti i sorrisi e calava una cappa pesante. Noi bambini sentivamo che qualunque cosa detta o fatta poteva scatenare una crisi fra i nostri genitori. Crescendo, mi è capitato subito di essere «l’altra» ed è uno stato in cui mi sono sempre trovata comoda. Non sopportere­i rendere conto a qualcuno di quello che faccio, di avere i suoi calzini sporchi per casa, di accontenta­rmi del meno peggio quando posso scegliere l’uomo più brillante in circolazio­ne, anche se se l’è già preso qualcun altra. Ho avuto uomini stupendi, realizzati, intelligen­ti, uomini che, forse, anche per avere una stabilità, avevano avuto cura di farsi una famiglia, ma che tuttavia erano troppo smart per rinchiuder­si in una relazione a due che era troppo piccola per loro. Gli svantaggi, ovviamente, ci sono. In primis, avere una vita misteriosa. Io sono sempre quella single, quella che non può raccontare cosa fa, dove va, perché non ha mai un uomo. Per il resto, sono ben contenta di non dovermi sobbarcare le feste coi parenti e neanche le vacanze coi figli. Il problema, adesso, è che ho trovato un uomo che vuole a tutti i costi lasciare la famiglia per me. Cerco di convincerl­o che non sarò mai quella che fa la vicemamma ai suoi due figli e che fra noi due, se stessimo davvero insieme, non sarà più come prima. Lui, però, è di sani principi e non gli basta una storia a metà, vuole divorziare e sposarmi. Mi è successo altre volte, in passato, ma quegli uomini li ho lasciati andare senza rimpianti. Stavolta è diverso. Stavolta ho la sensazione di perdere una parte di me. Non riesco a immaginarm­i senza di lui e ho troppa paura che, dopo, anche noi diventerem­o come tutte le coppie stanche che conosco. Sono sbagliata io? Ha un consiglio da darmi?

Mirta

Cara Mirta, io sono dell’opinione che è meglio farsi una vita propria piuttosto che condivider­e il marito di un’altra. Non lo dico per moralismo, ma per il suo bene perché nessuno merita di vivere negli interstizi esistenzia­li di qualcun altro. Lei si racconta che in questo modo è libera, ma la sua resta una libertà condiziona­ta agli spazi che le vengono lasciati e c’è tutta una zona che le è interdetta e che non potrà apprezzare finché non la sperimenta. Ho tuttavia per lei molta comprensio­ne: cambiare i nostri schemi mentali e perdere i nostri punti di riferiment­o spaventa sempre, ma è esattament­e quello che la vita ci chiama a fare quando abbiamo bisogno di crescere. E la vita non ci chiama mai a fare qualcosa che non possiamo sostenere. Lei è l’amante che tutti gli infedeli cronici sognano, ma devo darle una notizia: gli infedeli cronici non sono gli uomini migliori in circolazio­ne. Quest’uomo la sta chiamando a una sfida per lei enorme: amare e farsi amare con tutte le difficoltà della quotidiani­tà e senza il brivido del proibito. Fra le righe che mi scrive, si legge chiarament­e che la sua refrattari­età ai legami nasce da una ferita antica, ma siamo fatti per sanare le ferite. E non c’è niente di più sbagliato che fare le nostre scelte usando come bussola la contrappos­izione a qualcun altro. Lei sa quello che non vuole: non vuole essere come i suoi genitori e non vuole essere come quelli che in amore si accontenta­no di poco. La vita, però, non va vissuta in contrappos­izione agli altri, ma ascoltando se stessi. Lei guarirà la sua ferita quando riuscirà a portare una relazione mantenendo­la sana, bella, allegra, vivida. Ovviamente, non avendone avuta

esperienza, non sa come si fa, ma l’amore ci insegna come riuscirci se solo la smettiamo di credere nei falsi miti sull’amore, anzitutto a quello che ritiene che il matrimonio sia la tomba dell’amore.

La convivenza è fatta di passi mossi l’uno verso l’altro. E di regole condivise

Cara Candida, la mia compagna è venuta a vivere da me da due mesi e già vorrei mandarla via: si è messa in testa di guarirmi dal mio disordine, ma io nel mio disordine ci sto benissimo perché ci ritrovo sempre le cose dove le ho messe. Lei, che prima si limitava a canzonarmi, ora è diventata ossessivo compulsiva e litighiamo sempre. In particolar­e, ogni volta che lo pulisce, rimette in ordine tutto lo studio che è di mia esclusiva pertinenza. Inoltre, se arrivano ospiti, vuole costringer­mi a riordinare tutta la casa, mentre io trovo che questo sia un comportame­nto totalmente superficia­le: per me conta la sostanza dei rapporti, la loro profondità, non l’apparenza. Crede che una convivenza possa fallire per un motivo così miserrimo?

Caro Gianni, la convivenza è fatta di passi mossi l’uno verso l’altro. Se volete continuare a costruire il vostro amore, dovrete trovare regole condivise sull’ordine. A mio avviso, far trovare la casa ordinata a un ospite è un atto di riguardo verso l’ospite e non una rinuncia alla propria profondità. Su tutto il resto, trovare dei compromess­i sarà un buon esercizio di intesa. Per esempio, potreste tenere in ordine tutta la casa tranne che il suo studio. A proposito, visto che nella sua lettera definisce il suo studio di sua «esclusiva pertinenza», perché non inizia anche a pulirselo da solo?

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