UNA CURA INDISPENSABILE
La mobilità sociale è il tema di cui stanno parlando a Trento politici, scienziati, scrittori, giornalisti e premi Nobel. Dappertutto, sia pure non annunciato ufficialmente, s’impone il bruciante, attualissimo sottotema della disuguaglianza, insieme causa e conseguenza di rigida immobilità sociale, oltre che motivo scatenante di innumerevoli conflitti, compreso quello estremo, di carattere militare. Merito del decimo Festival dell’economia l’averlo messo in luce.
È la conferma che si tratta del nodo centrale del nostro tempo, il vero punto dolente, quello che spinge, per esempio, migliaia e migliaia di persone a solcare i mari nella speranza di trovare alla fine dell’avventuroso viaggio meno disuguaglianza di là da dove sono partiti, quello che fomenta il malessere, che istiga le rivolte di ogni genere. E che, forse, accende anche la micidiale scintilla del terrorismo.
Si comincia in alto con la disuguaglianza tra Paesi, in parte dovuta, per così dire, a cause naturali come la diversa configurazione geografica, il diverso clima e la diversa distribuzione delle risorse, ma in parte aggravata anche da cause molto meno naturali, quali le politiche economiche delle nazioni più forti per cui la forbice tra ricchi e poveri si allarga sempre più.
Si continua poi con innumerevoli altre disuguaglianze minori, se minore di può definire quella di reddito, in nome della quale, come ha ricordato in questi giorni di Festival il premio Nobel americano Joseph Stiglitz, negli Stati Uniti l’amministratore delegato di una società può arrivare a guadagnare trecento volte la media dei suoi dipendenti. Un divario da togliere il respiro che in Italia è forse meno spaventoso ma sempre sufficientemente impressionante.
In cambio da noi è particolarmente pesante la disuguaglianza generazionale, per occupazione, stipendio e, un domani, assicurazione sociale. Abbiamo infatti quasi la metà dei giovani disoccupati; quelli che sono occupati hanno per lo più contratti a tempo determinato con remunerazioni minime e con la prospettiva futura di pensioni altrettanto minime. I padri, insomma, stanno — o stavano — meglio dei figli, condizione tendenzialmente condivisa in tutta Europa, tanto che possiamo dire di essere uniti nella disuguaglianza, senza essere riusciti a inventare un metodo per curarla. Cura che, a tutti i livelli, soltanto la politica può trovare per creare un’indispensabile, urgentissima società più giusta dove riprenda fiato la vitale, essenziale mobilità.