Bénabou: il culto del bonus genera disuguaglianze
Lo studioso: «La performance pay crea distorsioni, ma in alcuni casi è utile»
Oggi è il giorno di Roland Bénabou. Il padre dell’economia comportamentale è atteso alle 15 a palazzo Geremia, dove spiegherà come il culto del bonus generi disuguaglianze.
TRENTO È noto come padre dell’economia comportamentale, tema di cui parlò nel 2009 a Trento, ma per la decima edizione del Festival dell’economia oggi alle 15 a palazzo Geremia Roland Bénabou spiegherà come il culto del bonus generi disuguaglianze. «In alcuni casi la “performance pay” genera distorsioni, in altri potrebbe portare a miglioramenti delle prestazioni», anticipa al Corriere del Trentino.
Professor Bénabou, quali sono le cause della disuguaglianza nei Paesi occidentali?
«Sono davvero tante: mi riferisco ad esempio al progresso tecnologico, alla globalizzazione, al welfare. A Trento mi concentrerò sull’aspetto legato al mercato del lavoro. In questo caso la competizione tra le imprese, che sfocia nel culto del bonus, genera disuguaglianza».
In cosa consiste il «culto del bonus»?
«Indica la tendenza ad adottare metodi di pagamento legati alla produttività, alla misura della performance. Parlo di quote di stipendio variabili legate alle diverse competenze, all’abilità. Accade così che a parità di lavoro ci sia chi viene pagato meglio. In molti casi questa è una cosa buona, in altri no. Ci sono poi disuguaglianze create dalle differenti opportunità di partenza, dalla diversa istruzione, dalle capacità del singolo».
Cosa intende quando afferma che non sempre la “performance pay” è un fenomeno positivo?
«Una performance può essere di lunga o breve durata, di squadra o individuale, ha insomma molteplici dimensioni. Alcune sono facili da misurare, per altre è quasi impossibile farlo e questo è un problema. Conseguenza ne è il fatto che le persone e il lavoro che rispondono a certi requisiti ritenuti molto importanti vengono ricompensati di più rispetto ai lavoratori che hanno caratteristiche considerate meno fondamentali. Il nodo diventa lampante se si cerca di rispondere alla domanda: “È meglio pagare di più la quantità o la qualità del lavoro?”. Più in alto ci si colloca nella piramide relativa al prestigio occupazio-
nale, più questo fenomeno pesa».
Ad esempio?
«Parlo dei banchieri, dei manager, dell’accademia, dell’ambito medico: assistiamo a una vera e propria competizione alla ricerca dei talenti. Più un professionista è bravo, più lo si deve pagare. Il mercato del lavoro sta divenendo sempre più competitivo e ciò costringe le ditte a questo paradosso pericoloso. Le conseguenze sono imbrogli, frodi, manipolazioni».
Come si possono contenere le derive?
«Un modo di farlo è porre un limite alla quota variabile dei salari o rendere parte strutturale della busta paga i bonus. Si possono poi regolamentare dati settori, promuovere un controllo sociale e la cultura della compensazione. Oppure si può adottare la “corporate social responsibility”. La soluzione non è unica perché disparati sono i casi che si presentano».
La competizione nel mercato del lavoro è ovunque?
«No, si pensi ad esempio ai servizi sociali e al pubblico. Alcuni di questi settori potrebbero pure beneficiare della competizione per la qualità. Ad esempio i servizi».
Qual è la posizione delle piccole realtà?
«Marginale, la competizione è maggiore nei grandi centri. L’autonomia potrebbe contribuire a creare maggiori possibilità per i lavoratori in questo senso: una mobilità tra regioni vicine e autonome potrebbe incidere positivamente sul culto del bonus. Ma questo è uno scenario ancora lontano».