«Piccoli azionisti»: la ricetta di Cagé
Il modello delle società future secondo la docente: «Così salviamo media e democrazia»
TRENTO Per salvare i media — ma anche per garantire la democrazia — occorre un nuovo quadro economico-giuridico, un modello a metà fra società per azioni e fondazioni nonprofit: è ciò che suggerisce Julia Cagé, docente di economia allo Sciences Po, l’istituto di studi politici di Parigi.
Una soluzione in cui si devono reinvestire gli utili nell’organizzazione, gli azionisti non hanno diritto di riscuotere i dividendi. Il capitale è congelato: si può beneficiare di detrazioni fiscali in cambio di donazioni, ma non è possibile recuperare il denaro investito. Non più la fragilità connessa a un azionista di maggioranza dunque, che se ne può andare quando vuole, ma una molteplicità di piccoli donatori che partecipano alla vita della struttura. Un contesto in cui «il diritto di voto non aumenta insieme al numero di azioni detenute — come spiega Cagé — perché sotto una certa soglia i piccoli azionisti-donatori possono riunirsi in gruppi per far sentire la loro voce». Insomma, l’aspetto fondamentale è il bilanciamento del potere. «Ovviamente ci vorranno anche i fondi di Jeff Bezos — sostiene Cagé per esemplificare la grossa iniezione di capitale immessa dal fondatore di Amazon nel Whasington post che ha acquistato — ma i grossi azionisti perderebbero potere rispetto allo stato attuale, la plusvalenza sarebbe fiscale».
La tesi di Cagé è contenuta nel volume «Salvare i media», che sarà edito da Bompiani in Italia nel 2016. Un modo per dare voce a chi consuma l’informazione e a chi la produce. Per evitare che siano le grosse aziende a controllare i media oppure quelli che Cagé chiama «i nuovi baroni della stampa», da Berlusconi a Bezos. Ma anche per scongiurare il rischio che il denaro corrompa la politica, che i ricchi influenzino il processo elettorale, legislativo e normativo con contributi elettorali, lobby e finanziamento dei media. Un modello, il
suo, che offre un’alternativa al sostentamento dei media attraverso la pubblicità, il cui calo degli introiti è ormai strutturale, ma anche ai rischi connessi al sostegno pubblico — comunque necessario — dei media. Una possibilità differente anche rispetto al sistema di finanziamento delle fondazioni, nelle quali «il potere si concentra nelle mani di chi ha investito più denaro».
Una proposta che in Francia, a quattro mesi dalla pubblicazione del libro, sta riscuotendo successo: «Molti giornalisti hanno cercato di contattare le loro aziende — conclude Cagé — perché vogliono condividere il potere con i lettori, ristabilire un rapporto di fiducia, preservare la propria indipendenza e difendersi dai grossi azionisti che stanno comprando tutti i maggiori giornali».