LA SENTENZA SULLE PENSIONI E I POTERI DELLO STATO
Egregio direttore, la velenosa scia lasciata dalla sentenza 70/2015, con la quale la Corte costituzionale ha dichiarato illegittimo il blocco delle indicizzazioni delle pensioni deciso dal governo Monti nel 2011 — tutti ricordano la più volte riportata scena della ministra Fornero che piange nel dare l’annuncio del relativo provvedimento — rischia di coinvolgere, nel quadro di delegittimazione in atto nei confronti della magistratura, anche questo organo, previsto e disciplinato dalla Costituzione, sino a oggi estraneo a polemiche sì roventi come quella in atto. Occorre quindi si faccia chiarezza su quanto successo, ricordando anzitutto che alla Corte è demandato il fondamentale compito, nell’ambito della nostra democrazia, di pronunziarsi, una volta investita da un giudice della questione, sull’eventuale mancato rispetto dei principi contenuti nella Costituzione da parte di una legge emessa dal Parlamento. È del tutto evidente quindi il grande potere che la Corte esercita nella sua delicata funzione ed è altrettanto evidente che le sue decisioni hanno un’automatica inevitabile ripercussione politica, nel momento che l’eventuale dichiarazione di incostituzionalità elimina dall’ordinamento una legge, frutto dell’esercizio della discrezionalità politica di un governo. Strana mi è perciò parsa anche l’affermazione di Romano Prodi circa una supposta sorta di «sconfinamento» della Consulta che avrebbe vanificato, con la sentenza in questione, l’esercizio del «compito irrinunciabile del governo di interpretare il modo in cui si esprima la solidarietà in un preciso momento storico». Con evidente riferimento alla solidarietà rapportata alle esigenze delle giovani generazioni, in grave difficoltà lavorativa e quindi contributiva. Come sempre dovrebbe avvenire, le sentenze vanno però attentamente lette prima di essere commentate e criticate. La Corte ha chiaramente spiegato il perché della sua decisione, evidenziando la valutazione del necessario bilancio tra l’interesse dei pensionati, «in particolar modo di quelli titolari di trattamenti previdenziali modesti», con richiamo agli articoli 3, 36 e 38 della Costituzione, e quello di un’esigenza finanziaria dello Stato non «illustrata in dettaglio», anche, aggiungo io, nella sua eventuale soddisfazione con ricorso ad altri rimedi (abolendo ad esempio, intanto, per rimanere nel campo previdenziale: le pensioni parlamentari, i trattamenti stratosferici dei consiglieri regionali e dei dirigenti di moltissimi enti, le varie pensioni percepite da alcuni soggetti e via di seguito). La Corte si è anche implicitamente espressa, pur non disponendo degli elementi contabili che il governo avrebbe potuto e dovuto far pervenire tramite l’Avvocatura dello Stato che lo rappresentava innanzi alla Consulta, circa l’esigenza di cui all’articolo 81 sul pareggio di bilancio, quindi sulla garanzia dell’equilibrio tra entrate e uscite, motivando nel senso che al riguardo appariva insufficiente «il mero richiamo alla contingente situazione finanziaria senza che emerga dal disegno complessivo la necessaria prevalenza delle esigenze finanziarie sui diritti oggetto di bilanciamento nei cui confronti si effettuano interventi così fortemente incisivi», cioè quelli dei diritti fondamentali dei pensionati alla proporzionalità del trattamento di quiescenza, inteso quale retribuzione differita (articolo 36) e alla adeguatezza (articolo 38) con riferimento altresì al principio di uguaglianza sostanziale di cui all’articolo 3. Questa è la sostanza della questione. Né mi pare siano argomenti degni di rilievo quelli della votazione avvenuta a maggioranza, sulla base del voto del presidente Criscuolo, perché ciò è nella fisiologia di ogni votazione collegiale, né quella della opportunità di attesa del giudice assente per malattia. Mentre è cosa ben più rilevante e incomprensibile, come ho già avuto occasione di evidenziare, che il Parlamento, ormai da circa un anno, non si decide a nominare gli altri due giudici costituzionali che gli competono sui quindici previsti dalla Costituzione e la cui presenza avrebbe potuto portare forse a una diversa decisione rispetto a quella sulla quale il governo versa oggi lacrime di coccodrillo.
sul tema il Corriere ha già ospitato molti commenti, dunque mi limito a una breve considerazione. È evidente, come sottolineava pochi giorni fa Pierluigi Battista in un commento, che in Italia esiste un problema di corretto bilanciamento dei poteri. Il fatto che una decisione di tale portata venga assunta grazie al voto del presidente (nella fattispecie, ricordo, ha determinato la maggioranza anziché la parità) ovviamente non pone problemi di legittimità, però onestamente induce qualche riflessione ulteriore.
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