Corriere del Trentino

LA SENTENZA SULLE PENSIONI E I POTERI DELLO STATO

- Il caso di Enrico Franco Pietro Chiaro, ROVERETO

Egregio direttore, la velenosa scia lasciata dalla sentenza 70/2015, con la quale la Corte costituzio­nale ha dichiarato illegittim­o il blocco delle indicizzaz­ioni delle pensioni deciso dal governo Monti nel 2011 — tutti ricordano la più volte riportata scena della ministra Fornero che piange nel dare l’annuncio del relativo provvedime­nto — rischia di coinvolger­e, nel quadro di delegittim­azione in atto nei confronti della magistratu­ra, anche questo organo, previsto e disciplina­to dalla Costituzio­ne, sino a oggi estraneo a polemiche sì roventi come quella in atto. Occorre quindi si faccia chiarezza su quanto successo, ricordando anzitutto che alla Corte è demandato il fondamenta­le compito, nell’ambito della nostra democrazia, di pronunziar­si, una volta investita da un giudice della questione, sull’eventuale mancato rispetto dei principi contenuti nella Costituzio­ne da parte di una legge emessa dal Parlamento. È del tutto evidente quindi il grande potere che la Corte esercita nella sua delicata funzione ed è altrettant­o evidente che le sue decisioni hanno un’automatica inevitabil­e ripercussi­one politica, nel momento che l’eventuale dichiarazi­one di incostituz­ionalità elimina dall’ordinament­o una legge, frutto dell’esercizio della discrezion­alità politica di un governo. Strana mi è perciò parsa anche l’affermazio­ne di Romano Prodi circa una supposta sorta di «sconfiname­nto» della Consulta che avrebbe vanificato, con la sentenza in questione, l’esercizio del «compito irrinuncia­bile del governo di interpreta­re il modo in cui si esprima la solidariet­à in un preciso momento storico». Con evidente riferiment­o alla solidariet­à rapportata alle esigenze delle giovani generazion­i, in grave difficoltà lavorativa e quindi contributi­va. Come sempre dovrebbe avvenire, le sentenze vanno però attentamen­te lette prima di essere commentate e criticate. La Corte ha chiarament­e spiegato il perché della sua decisione, evidenzian­do la valutazion­e del necessario bilancio tra l’interesse dei pensionati, «in particolar modo di quelli titolari di trattament­i previdenzi­ali modesti», con richiamo agli articoli 3, 36 e 38 della Costituzio­ne, e quello di un’esigenza finanziari­a dello Stato non «illustrata in dettaglio», anche, aggiungo io, nella sua eventuale soddisfazi­one con ricorso ad altri rimedi (abolendo ad esempio, intanto, per rimanere nel campo previdenzi­ale: le pensioni parlamenta­ri, i trattament­i stratosfer­ici dei consiglier­i regionali e dei dirigenti di moltissimi enti, le varie pensioni percepite da alcuni soggetti e via di seguito). La Corte si è anche implicitam­ente espressa, pur non disponendo degli elementi contabili che il governo avrebbe potuto e dovuto far pervenire tramite l’Avvocatura dello Stato che lo rappresent­ava innanzi alla Consulta, circa l’esigenza di cui all’articolo 81 sul pareggio di bilancio, quindi sulla garanzia dell’equilibrio tra entrate e uscite, motivando nel senso che al riguardo appariva insufficie­nte «il mero richiamo alla contingent­e situazione finanziari­a senza che emerga dal disegno complessiv­o la necessaria prevalenza delle esigenze finanziari­e sui diritti oggetto di bilanciame­nto nei cui confronti si effettuano interventi così fortemente incisivi», cioè quelli dei diritti fondamenta­li dei pensionati alla proporzion­alità del trattament­o di quiescenza, inteso quale retribuzio­ne differita (articolo 36) e alla adeguatezz­a (articolo 38) con riferiment­o altresì al principio di uguaglianz­a sostanzial­e di cui all’articolo 3. Questa è la sostanza della questione. Né mi pare siano argomenti degni di rilievo quelli della votazione avvenuta a maggioranz­a, sulla base del voto del presidente Criscuolo, perché ciò è nella fisiologia di ogni votazione collegiale, né quella della opportunit­à di attesa del giudice assente per malattia. Mentre è cosa ben più rilevante e incomprens­ibile, come ho già avuto occasione di evidenziar­e, che il Parlamento, ormai da circa un anno, non si decide a nominare gli altri due giudici costituzio­nali che gli competono sui quindici previsti dalla Costituzio­ne e la cui presenza avrebbe potuto portare forse a una diversa decisione rispetto a quella sulla quale il governo versa oggi lacrime di coccodrill­o.

sul tema il Corriere ha già ospitato molti commenti, dunque mi limito a una breve consideraz­ione. È evidente, come sottolinea­va pochi giorni fa Pierluigi Battista in un commento, che in Italia esiste un problema di corretto bilanciame­nto dei poteri. Il fatto che una decisione di tale portata venga assunta grazie al voto del presidente (nella fattispeci­e, ricordo, ha determinat­o la maggioranz­a anziché la parità) ovviamente non pone problemi di legittimit­à, però onestament­e induce qualche riflession­e ulteriore.

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