B3Lab, il team degli artigiani digitali Dal virtuale al reale
L’esperienza di tre giovani: richieste anche dagli States
TRENTO B3Lab: sembra un codice, ma non lo è. O per lo meno, non del tutto. È piuttosto un acronimo, dietro a cui pulsano le ambizioni di Giovanni, Giulio e Luca, tre ragazzi con il pallino dell’innovazione. Tre modernissime partite Iva pronte a creare una squadra. Quella del B3Lab, appunto. Una società di «artigiani digitali», così come amano definirsi, pensata per trasformare le idee (virtuali) in app (reali). Dallo sviluppo iniziale alla pubblicazione negli store online.
Un mondo comprensibile a pochi, eppure in inarrestabile crescita, tanto che le posizioni più ricercate sul mercato del lavoro, oggi, hanno a che fare proprio con il settore delle nuove tecnologie. E in effetti, i tre ragazzi laureatisi in informatica all’università di Trento, hanno iniziato a lavorare quando ancora sedevano tra i banchi della facoltà di Povo. Prima da soli, poi, da dieci mesi a questa parte, in team. Perché B3Lab, che oggi ha sede all’Impact Hub di Trento, è un mix di creatività, innovazione e internazionalità, rispecchiando perfettamente i profili dei tre fondatori: Giovanni Frigo, appassionato di videogiochi e responsabile delle infrastrutture delle App, con all’attivo lo sviluppo di Xenonauts, gioco di strategia per computer, famosissimo tra gli indomiti dei gaming online; Luca D’Inca, designer e sviluppatore iOS, programmatore fin da giovanissimo e Giulio Michelon, a sua volta designer e sviluppatore, ma soprattutto «costruttore di identità digitali funzionali e belle», legato in passato a Fondazione Bruno Kessler e responsabile della creazione dei siti internet di TEDx Trento e IctDays, nonché stagista in una delle tante startup della Silicon Valley. «Il modello californiano è eccezionale, sembra tutto così… possibile! L’imprenditore ha intorno a sé un ecosistema funzionale e propositivo, davvero pronto ad accogliere e incentivare i nuovi progetti. Basti pensare che il principale fondo di investimenti statunitense offre finanziamenti da 10.000 dollari l’uno. Il corrispettivo italiano, invece, viaggia su cifre di dieci volte inferiori» riflette.
Ma, nonostante le maggiori difficoltà incontrate per emergere nel sistema italiano «dove — spiega — il primo ostacolo è trovare persone competenti e preparate in questo mestiere con le quali relazionarsi » , B3Lab può già vantare un nutrito portfolio di clienti, nazionali e internazionali. «Ci hanno cercati perfino dal Connecticut!» esulta lo startupper che ammette: «All’inizio abbiamo accettato anche compensi minimi pur di imparare sul campo e costruire relazioni. Oggi, invece, non è più tempo per il pro-bono». Trenta euro l’ora è il compenso che richiedono per mettere mano ai singoli progetti, «ma, ci paragoniamo agli Usa — chiarisce Giulio — anche in questo caso, ne usciamo sconfitti. Oltre oceano, infatti, la fee oraria di un programmatore è 150 dollari». Ma il prezziario italiano dei professionisti 2.0 è decisamente più economico, e nasce, in realtà, proprio su internet attraverso i numerosi siti di aggregazione per freelance, come Freelancer.com, piattaforma dedicata all’incontro tra domanda e offerta di lavoro indipendente, Starbytes per esperti di tecnologie digitali, oDesk, diminutivo di online Desk, focalizzata soprattutto sui piccoli lavori, con una prevalenza di annunci in campo informatico e molte altre ancora. «A differenza di ciò che si potrebbe pensare — conclude Giulio — c’è poca competizione negativa. Anzi, il settore è ricco di persone che hanno voglia di mettersi in gioco e collaborare. Forse perché siamo quasi tutti giovani, forse perché non abbiamo paura di poter essere migliori, insieme».