Gli inutili oneri
Il processo di revisione della spesa pubblica, inteso come valutazione dell’efficienza della pubblica amministrazione, dovrebbe considerare anche l’aspetto relativo alle ipotesi di inutili oneri di spesa posti a carico dei cittadini e a vantaggio di imprese, ancorché partecipate da capitale pubblico, in cui rientra, fra le altre, la spa Poste Italiane.
A tal proposito, mi sembra di poter rilevare la irrazionalità e la contraddittorietà circa la disciplina relativa alle modalità della notificazione degli atti giudiziari a mezzo del servizio postale, prevista dall’articolo 149 del codice di procedura civile e regolata dalla legge 1982/890. L’articolo 7 prevede che l’agente incaricato recapiti il piego raccomandato con avviso di ricevimento personalmente al destinatario; se non può essere consegnato al diretto interessato, la consegna può essere fatta a un familiare convivente o ad altra persona della casa o al suo servizio. In tale ultimo caso, cioè se il piego non può essere stato consegnato personalmente, l’agente darà notizia al destinatario dell’avvenuta notificazione, a mezzo lettera raccomandata, nulla
prevedendo la legge circa le modalità di consegna di questa seconda raccomandata, per cui essa potrà essere consegnata validamente a chiunque, dunque anche non al destinatario.
Considerato che la prima raccomandata, non consegnata personalmente, non è considerata idonea al perfezionamento della notificazione, si pone l’interrogativo circa la ragione
per cui la notifica è da considerarsi perfezionata con la seconda raccomandata, ancorché non consegnata personalmente al destinatario.
Considerando, quindi, la sostanziale inutilità della seconda raccomandata, gli interrogativi che si pongono sono due: il primo relativo all’inutilità del maggior lavoro, a cui sono tenuti gli uffici postali; il secondo
concerne la maggior spesa, a carico del notificante, perché la seconda raccomandata, evidentemente, viene fatta pagare.
A questo punto: quale sarà l’enorme numero delle «inutili seconde raccomandate» distribuite dagli agenti postali e a quanto ammonterà complessivamente la corrispondente maggior somma nelle casse di Poste Italiane per un servizio del tutto inutile per i cittadini, ma assai lucroso per la società che espleta il servizio postale? Mi sembra, da un lato, che sussista la necessità di abrogare l’ultimo comma dell’articolo 7 citato e, dall’altro, che l’abrogazione accennata corrisponda a un atto di correttezza e equa saggezza politico-legislativa.
Giulio Busetti,