Corriere del Trentino

GLI OBBLIGHI DI LIFE URSUS

- Di Désirée Fondaroli

La Provincia di Trento ha dato prova di non essere in grado di ottemperar­e agli obblighi di intervento che ha volontaria­mente assunto attraverso il progetto Life Ursus.

Egregio direttore, mi rivolgo ancora al suo giornale, certa di trovare, come sempre, benevola attenzione. Purtroppo le sorti di un’orsa, mamma di (almeno) tre cuccioli, sono segnate, come lo furono quelle di Daniza lo scorso anno, nello stesso periodo. La caccia a questo orso è ormai giunta al suo tragico epilogo, nonostante gli accorati e numerosiss­imi appelli di scienziati ed esperti.

Sono costernata dalla pervicacia con la quale la Provincia di Trento ha emesso una nuova ordinanza, datata 11 giugno 2015, come la precedente illegittim­a, sebbene sotto profili diversi, per disporre genericame­nte la «captivazio­ne», ovvero l’abbattimen­to di un orso ritenuto responsabi­le di due aggression­i, di cui una accaduta il giorno precedente alla pubblicazi­one del provvedime­nto.

L’ordinanza, pur richiamand­o il Piano d’azione interregio­nale per la conservazi­one dell’orso bruno sulle Alpi centro-orientali (Pacobace), documento peraltro assai discusso proprio nella parte che riguarda la tipologia di interventi ammissibil­i, ne viola tutti i principi ispiratori. Non viene identifica­to l’orso, per fatti concludent­i riconosciu­ta in KJ2, cui vengono ascritte due presunte aggression­i, delle quali, quella del giorno precedente, a distanza di due mesi tuttora in fase di accertamen­to. Già da qui si comprende come vengano calpestati i protocolli richiesti dal Pacobace: «La valutazion­e dei comportame­nti va condotta caso per caso, tenendo conto (…) anche della probabilit­à di corretta attribuzio­ne dei comportame­nti a uno specifico individuo (…), della frequenza di registrazi­one dei diversi atteggiame­nti, del contesto in cui si sono verificati, dell’evoluzione di tali comportame­nti, dell’efficacia nell’applicazio­ne di eventuali misure di dissuasion­e, eccetera».

L’orsa, sebbene perseguita­ta e braccata, non è qualificat­a né come dannosa né come pericolosa: il suo, dunque, non corrispond­e al profilo dell’«orso problemati­co» che rappresent­a il presuppost­o dei provvedime­nti adottabili. E non potrebbe essere diversamen­te, poiché le disposizio­ni stabilite dal Pacobace non sono state rispettate.

Di fatto l’ordinanza è indetermin­ata nell’oggetto, cioè nel requisito essenziale dell’identifica­zione del suo destinatar­io o, per meglio dire, della sua vittima, poiché si riferisce genericame­nte a «un orso», senza che di esso sia stata riconosciu­ta l’identità, lo «storico», il comportame­nto abituale, le situazioni nelle quali si sono verificate le presunte «aggression­i» (che, proprio come nel caso di Daniza, costituisc­ono in realtà atti di legittima difesa), né sia dato conto della sussistenz­a dei requisiti imposti dalle disposizio­ni normative in materia.

L’ordinanza della Provincia di Trento si pone in netto contrasto con la posizione di garanzia, fonte di responsabi­lità civili e penali, che in base al richiamato Pacobace grava sulla Provincia stessa. Il Pacobace, infatti, rinvia alla normativa a tutela della salvaguard­ia dell’Orso Bruno, considerat­a di interesse prioritari­o, ed è orientata a «mitigare i conflitti tra uomo e orso, condizione essenziale per assicurare uno stato di conservazi­one favorevole della popolazion­e di orsi delle Alpi centro orientali»: obiettivo sinistrame­nte evocato dalla presentazi­one del Rapporto Orso 2014, ove si proclama l’intento di «riannodare le fila di un percorso interrotto» dopo l’uccisione di Daniza. Si sottintend­eva forse «a colpi di fucile»?

Poiché la Provincia di Trento ha dato prova di non essere in grado di ottemperar­e agli obblighi di intervento che pure ha volontaria­mente assunto attraverso il progetto Life Ursus, ammetta il fallimento di un’impresa di cui non è stata all’altezza, risponda nelle opportune sedi delle proprie omissioni e delle azioni proditoria­mente poste in essere, restituisc­a i denari indebitame­nte ottenuti e, per conservare il patrimonio turistico degli amanti dell’orso — perché no? — provi a disseminar­e le proprie valli e i propri boschi di innocui pelouche: meno appetibili come trofeo di caccia, ma certo molto più rassicuran­ti per la terrorizza­ta e stremata popolazion­e locale.

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