Principato di Monaco Melotti espone l’arte senza peso
L’arte «senza peso» di Melotti in mostra nel principato di Monaco A Villa Paloma 20 sculture, 70 ceramiche e le opere ritratte da Mulas
«Una partitura d’ideogrammi senza peso come insetti acquatici che sembrano volteggiare su di una spalliera d’ottone schermata da un filo di garza»: con quest’immagine Italo Calvino, nel saggio Le effimere nella fortezza, ci conduce al cuore dell’estetica di Fausto Melotti (Rovereto, 1901 - Milano, 1986). Afferma che «il suo uso di materiali e deperibili asticelle di ottone saldate, garza, catenelle, stagnola, carboncino, spago, fildiferro, gesso, stracci, è il mezzo più veloce per raggiungere un regno visionario di splendori e meraviglie, come ben sanno i bambini e gli attori shakespeariani». Quando, nel 1983, esce Palomar, Calvino sceglie una scultura di Melotti,
Omaggio a Scheiwiller, per la copertina.
Ora Omaggio a Scheiwiller è tra le opere che fino al 17 gennaio del prossimo anno si possono ammirare in «Fausto Melotti», l’esposizione presso il Nouveau Musée national de Monaco che offre una panoramica sulla polimorfa e sfaccettata estetica dell’artista roveretano attraverso una ventina di sculture e più di settanta ceramiche. L’iniziativa è realizzata in collaborazione con la Fondazione Fausto Melotti, la rivista Domus e l’archivio Ugo Mulas, curatori Eva Fabbris e Cristiano Raimondi, allestimento di
Baukuh e Valter Scelsi: prende in esame un periodo cruciale per l’artista: quello che spazia dal temporaneo abbandono della ricerca astratta dopo il 1935 fino alla ripresa della scultura all’inizio degli anni Sessanta. Cristiano Raimondi presenta le componenti del progetto.
Una mostra su Fausto Melotti a Villa Paloma, nel Principato di Monaco: come nasce l’iniziativa e quali aspetti dell’artista roveretano approfondisce?
«L’esposizione presso Villa Paloma (seconda sede del Nouveau musée national de Monaco) vuole mettere in luce e introdurre al pubblico l’opera di Fausto Melotti tra il 1948 e il 1967, analizzando una parte consistente di documentazione legata soprattutto al contesto privilegiato della rivista
Domus, fondata da Gio Ponti nel 1928».
In che termini la rivista s’intreccia alla produzione dell’artista?
«Grazie ad essa Melotti avrà la possibilità di esprimersi liberamente ed essere presentato come prolifico artista dell’Italia del dopoguerra. Ci interessava introdurre sul territorio francofono il lavoro di un artista forse non abbastanza conosciuto al di fuori dell’Italia, ma soprattutto attore di un periodo storico fondamentale per il rilancio di una nuova filosofia “modernista”, più poetica e lontana da ideologie politiche: l’inizio del cosiddetto “italian style”».
Quale sguardo sull’opera di Melotti propone il percorso espositivo?
«Per mostrare la polimorfa produzione melottiana ci siamo affidati a nove articoli apparsi su Domus nell’arco temporale preso in considerazione. Ogni sala si sofferma sulle opere cui fanno riferimento i vari numeri della rivista, in parte redatti da Melotti stesso. Una caccia al tesoro con un campionario di opere già scelte e definite in contemporanea con gli articoli. Grazie a questo stratagemma abbiamo potuto proporre quasi tutti gli aspetti della produzione dell’artista, a parte le realizzazioni su carta e la pittura. Il percorso offre al visitatore una ventina di sculture (tra ottoni, acciaio e oro) e una settantina di ceramiche e terrecotte (tra vasi, sculture e teatrini). Molti di questi lavori sono totalmente inediti, in quanto appartenenti a
collezionisti privati che li hanno acquistati dallo stesso Melotti».
C’è spazio in mostra per i vivaci rapporti tra Melotti e i diversi intellettuali del suo tempo, primo tra tutti Italo Calvino?
«La fitta rete di feconde relazioni intessuta da Melotti, a partire da Carlo Belli passando per Lucio Fontana per arrivare sino a Calvino, è restituita sia attraverso una time-line sviluppata su un’intera parete, sia attraverso citazioni e frasi riprese nei testi a muro. Il rapporto privilegiato con Gio e Lisa Ponti è approfondito con le riproduzioni delle copertine e degli articoli apparsi sui nove numeri di Domus ».
Accanto alla rivista Domus, la seconda coordinata della mostra riguarda il rapporto con la fotografia di Ugo Mulas.
«Si tratta di tredici fotografie in bianco e nero scattate da Ugo Mulas alla fine degli anni sessanta, utilizzate in mostra sia per sostituire sculture non più disponibili o reperibili, pubblicate negli articoli, sia come alternativa bidimensionale in rapporto alla tridimensionalità delle sculture. Melotti, come Medardo Rosso, amava che le sue sculture fossero fotografate e vedendo il risultato della sua collaborazione con Mulas non possiamo fare altro che apprezzare e godere della quiete quasi metafisica che pervade le immagini».
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Il curatore ha seguito la cronologia di nove articoli di «Domus»