«Mondo globalizzato, problemi condivisi»
Breigheche mette in guardia: «Siamo interdipendenti, ognuno è responsabile per tutti»
TRENTO «Siamo tutti sulla stessa barca» suggerisce la saggezza popolare. E mai modo di dire potrebbe rivelarsi più azzeccato: quale modo migliore dell’esperienza della minoranza musulmana Cham in Cambogia per riflettere sulla politica che influisce sulle abitudini di relazione con l’acqua e la terra e sui cambiamenti climatici che impoveriscono i fiumi e le popolazioni a essi legate a doppio filo? «L’ambiente siamo noi — ha ricordato al Muse l’imam del Trentino Alto Adige Aboulkheir Breigheche nel primo degli incontri collaterali della mostra “Be-diversity” — e le conseguenze negative che stiamo subendo a tutti i livelli le abbiamo procurate con le nostre stesse mani».
Da tre generazioni la popolazione Cham è relegata sul fiume Mekong a causa delle persecuzioni perpetrate dai Khmer rossi, la cui dittatura, in Cambogia, procurò milioni di vittime nella seconda metà degli anni Settanta. Sulle loro imbarcazioni di legno dipinte di azzurro, verde, rosso, giallo i musulmani Cham vivono, lavorano, pregano. L’artista di origini libanesi Khaled Ramadan, attraverso parole e immagini, racconta la loro esperienza in una delle sette opere del progetto «Be-diversity», presentata in prima mondiale al Muse: «Sono una comunità galleggiante, metafora dell’umanità intera — commenta l’artista Stefano Cagol, curatore della mostra — L’agricoltura e la pesca rappresentano la fonte di sostentamento dei musulmani cambogiani, ma il Mekong non è più ricco di pesci: per i Cham si prospetta un nuovo dilemma, ristabilirsi entro un contesto urbano sarebbe uno sforzo enorme».
«Il popolo è come un gruppo di persone che naviga in mare su una nave a due piani — racconta Breigheche riportando una tradizione islamica riferita al profeta Maometto — quelli che si trovano al piano inferiore lo ritengono proprio, sentendosi liberi di farci un buco per pescare, ma se chi si trova al piano superiore non interviene, affogheranno tutti». Secondo l’imam l’aneddoto conferma «l’interdipendenza delle popolazioni mondiali»: «Ormai viviamo in un villaggio globale e ognuno deve fare la sua parte per sopravvivere in maniera positiva».
L’arte, dunque, si offre come stimolo alla riflessione anche su tematiche come la biodiversità, diminuita del 30% in quarant’anni, la sostenibilità, l’ecologia, il cibo, la cui produzione mondiale per il 30% viene sprecata e il futuro del pianeta, con una popolazione che aumenta ogni anno di 80 milioni di persone. «Problemi che affliggono l’umanità intera senza distinzione — secondo Breigheche — anche le persone che abitano la parte più ricca del pianeta non sono esenti dalle conseguenze drammatiche di un progresso che è buono, ma che si ripercuote in modo negativo se non viene gestito in maniera equilibrata e giusta».