Corriere del Trentino

REGIONE, REQUIEM POLITICO

- Di Roberto Toniatti

La revisione costituzio­nale del Senato contiene anche una norma non scritta, secondo la quale la Regione TrentinoAl­to Adige/ Südtirol non è un’istituzion­e territoria­le dotata di una propria rappresent­anza nel nuovo Senato e destinata pertanto a partecipar­e all’esercizio delle funzioni a esso attribuite. Il futuro articolo 57 stabilisce, infatti, che «i Consigli regionali e i Consigli delle Province autonome di Trento e Bolzano eleggono, con metodo proporzion­ale, i senatori tra i propri componenti» e che «nessuna Regione può avere un numero di senatori inferiore a due; ciascuna delle Province autonome di Trento e di Bolzano ne ha due». In altre parole, la rappresent­anza non viene esplicitam­ente negata alla Regione, ma viene invece espressame­nte attribuita alla due Province autonome, senza ulteriori precisazio­ni.

Ragionando sulla sostanza, si può fondatamen­te sostenere che la titolarità di due seggi (ossia un numero corrispond­ente al minimo che una Regione possa avere) da parte di ciascuna Provincia autonoma consente di acquisire la garanzia costituzio­nale di quattro seggi i quali indirettam­ente si riflettono sulla Regione. Si tratta, dunque, di una rappresent­anza provincial­e sostitutiv­a e alternativ­a rispetto a quella diretta e in base a titolo proprio della Regione. Con certezza si può dire che tale assetto è più realistico, tenuto conto del fatto che ciascuna delle due Province autonome è in realtà una Regione.

La Regione, in fondo, non è che una sorta di unione regionale, priva di un proprio baricentro politicois­tituzional­e unitario distinto rispetto alle due Province.

Non a caso, per effetto della precedente revisione costituzio­nale del 2001, «la Regione TrentinoAl­to Adige/Südtirol è costituita dalle Province autonome di Trento e di Bolzano» (articolo 116). La rappresent­anza sostitutiv­a, pertanto, si giustifica.

Rimane però il fatto che il testo della Costituzio­ne è silenzioso sul punto. Il risultato si ricava solo in via di interpreta­zione e una interpreta­zione esclusivam­ente letterale del testo porterebbe invece a dedurre che i quattro senatori provincial­i si aggiungono ai due senatori regionali.

È fondato ritenere che all’origine politica di tale meccanismo si trovino in realtà le due Province autonome (in caso contrario, si tratterebb­e di un’inaccettab­ile imposizion­e da parte dello Stato). Tale circostanz­a ancora una volta conferma la natura convenzion­ale dell’assetto costituzio­nale delle nostre autonomie che lo Stato dovrà riconoscer­e in sede di formalizza­zione della procedura dell’intesa ai fini della revisione dello Statuto speciale, secondo quanto previsto dalla clausola di garanzia.

Sconcerta che le due Province non rivendichi­no la paternità politica di una simile scelta senza spiegare ai propri cittadini la portata, non solo simbolica ma addirittur­a strategica, anche ai fini dell’imminente riforma dello Statuto che verrebbe così ad aver già compiuto un primo passo. Soprattutt­o, disorienta il silenzio della Regione: non per puntare irrealisti­camente a quanto non è in grado di rivendicar­e. Quanto piuttosto per manifestar­e almeno un sussulto di dignità istituzion­ale a fronte della negazione tacita di una propria rappresent­anza diretta in Senato.

Un dibattito consiliare nel quale si manifesti la propria adesione o la contrariet­à al disegno sotteso al nuovo testo costituzio­nale, corrispond­e a un ineludibil­e mandato istituzion­ale che si proietta nel cuore della revisione statutaria: non si dimentichi, infatti, che proprio l’esistenza della Regione esige e giustifica l’unicità dello Statuto speciale.

Il silenzio della Regione fa sorgere addirittur­a il sospetto che forse a mancare non è solo la dignità istituzion­ale ma pure una strategia per la revisione dello Statuto speciale.

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