REGIONE, REQUIEM POLITICO
La revisione costituzionale del Senato contiene anche una norma non scritta, secondo la quale la Regione TrentinoAlto Adige/ Südtirol non è un’istituzione territoriale dotata di una propria rappresentanza nel nuovo Senato e destinata pertanto a partecipare all’esercizio delle funzioni a esso attribuite. Il futuro articolo 57 stabilisce, infatti, che «i Consigli regionali e i Consigli delle Province autonome di Trento e Bolzano eleggono, con metodo proporzionale, i senatori tra i propri componenti» e che «nessuna Regione può avere un numero di senatori inferiore a due; ciascuna delle Province autonome di Trento e di Bolzano ne ha due». In altre parole, la rappresentanza non viene esplicitamente negata alla Regione, ma viene invece espressamente attribuita alla due Province autonome, senza ulteriori precisazioni.
Ragionando sulla sostanza, si può fondatamente sostenere che la titolarità di due seggi (ossia un numero corrispondente al minimo che una Regione possa avere) da parte di ciascuna Provincia autonoma consente di acquisire la garanzia costituzionale di quattro seggi i quali indirettamente si riflettono sulla Regione. Si tratta, dunque, di una rappresentanza provinciale sostitutiva e alternativa rispetto a quella diretta e in base a titolo proprio della Regione. Con certezza si può dire che tale assetto è più realistico, tenuto conto del fatto che ciascuna delle due Province autonome è in realtà una Regione.
La Regione, in fondo, non è che una sorta di unione regionale, priva di un proprio baricentro politicoistituzionale unitario distinto rispetto alle due Province.
Non a caso, per effetto della precedente revisione costituzionale del 2001, «la Regione TrentinoAlto Adige/Südtirol è costituita dalle Province autonome di Trento e di Bolzano» (articolo 116). La rappresentanza sostitutiva, pertanto, si giustifica.
Rimane però il fatto che il testo della Costituzione è silenzioso sul punto. Il risultato si ricava solo in via di interpretazione e una interpretazione esclusivamente letterale del testo porterebbe invece a dedurre che i quattro senatori provinciali si aggiungono ai due senatori regionali.
È fondato ritenere che all’origine politica di tale meccanismo si trovino in realtà le due Province autonome (in caso contrario, si tratterebbe di un’inaccettabile imposizione da parte dello Stato). Tale circostanza ancora una volta conferma la natura convenzionale dell’assetto costituzionale delle nostre autonomie che lo Stato dovrà riconoscere in sede di formalizzazione della procedura dell’intesa ai fini della revisione dello Statuto speciale, secondo quanto previsto dalla clausola di garanzia.
Sconcerta che le due Province non rivendichino la paternità politica di una simile scelta senza spiegare ai propri cittadini la portata, non solo simbolica ma addirittura strategica, anche ai fini dell’imminente riforma dello Statuto che verrebbe così ad aver già compiuto un primo passo. Soprattutto, disorienta il silenzio della Regione: non per puntare irrealisticamente a quanto non è in grado di rivendicare. Quanto piuttosto per manifestare almeno un sussulto di dignità istituzionale a fronte della negazione tacita di una propria rappresentanza diretta in Senato.
Un dibattito consiliare nel quale si manifesti la propria adesione o la contrarietà al disegno sotteso al nuovo testo costituzionale, corrisponde a un ineludibile mandato istituzionale che si proietta nel cuore della revisione statutaria: non si dimentichi, infatti, che proprio l’esistenza della Regione esige e giustifica l’unicità dello Statuto speciale.
Il silenzio della Regione fa sorgere addirittura il sospetto che forse a mancare non è solo la dignità istituzionale ma pure una strategia per la revisione dello Statuto speciale.