CASO PROFUGHI RAFFAELLI CRITICA IL TRENTINO
Raffaelli (Amref): «Mobilitazioni senza senso, Alto Adige più maturo. Il dramma sarà lungo»
«In Trentino si è smarrita la solidarietà. Ho visto mobilitazioni senza senso. L’Alto Adige è più maturo». Così Mario Raffaelli, presidente di Amref e consigliere speciale del governo somalo, analizza la grande questione dei profughi che fuggono dalle guerre.
TRENTO Trecentomila solo negli ultimi otto mesi. Tanti sono gli uomini, le donne, i bambini che hanno viaggiato su carrette del mare, si sono raggomitolati in autotreni asfissianti, hanno marciato, finanche a piedi, per raggiungere il cuore dell’Europa. A spiegare i contorni di una crisi, forse, senza fine è Mario Raffaelli, presidente di Amref, già sottosegretario agli Esteri, figura chiave della pacificazione in Mozambico e ora consigliere speciale del governo provvisorio della Somalia.
Il mondo intero si è commosso di fronte alla foto del piccolo siriano morto sulla spiaggia di Bodrum. Le 300 bare di Lampedusa, i corpi carbonizzati nelle pance dei tir o le violenze dei Cie non erano stati sufficienti?
«Il ritardo nell’azione è forse la peggior colpa dell’Occidente. E non mi riferisco solo all’Europa, la questione è globale. Tutti sapevano che prima o poi sarebbe successo, che le differenze economiche e demografiche a cui avevamo costretto il mondo sarebbero esplose».
Come mai non si è fatto nulla per prevenire?
«Perché la politica è spesso poco competente, quasi mai ha la capacità di prevedere, cosa che invece dovrebbe caratterizzare il suo agire. Così ancora oggi, nonostante siano anni che sulle nostre coste muoiono centinaia di migliaia di persone, si parla di emergenza e non di crisi strutturale. Perché è questo ciò che abbiamo davanti. Una situazione che, temo, durerà ancora molto a
lungo».
Il Pentagono parla di altri vent’anni…
«Condivido, amaramente. Ciò che accade oggi nelle stazioni di Bolzano o di Keleti, in Ungheria, non è che la conseguenza di un’esasperazione diffusa, amplificata dalle guerre civili di fronte alle quali l’Occidente si è limitato a offrire una risposta meramente militare».
Cosa si sarebbe dovuto fare secondo lei?
«Da tre anni sostengo che è nostro dovere intervenire direttamente sul posto. Aiutare queste popolazioni a trovare stabilità per poter creare sviluppo nella loro terra. Un aneddoto potrebbe farci riflettere: ci sono più medici del Botswana a Londra che nel loro stesso Stato. Ecco, queste incongruità non dovrebbero più esistere».
Per la prima volta, sembra esserci una svolta nella politica europea. Si è iniziato a parlare di quote di ripartizione dei migranti e le posizioni di Francia e Germania si stanno ammorbidendo.
«Sono passi che vanno nella giusta direzione, credo sia fondamentale stabilire delle quote equilibrate e prevedere, altrimenti, delle sanzioni. Credo, inoltre, che sia doveroso definire una procedura comune per i rifugiati e che si debba, al tempo stesso, combattere in maniera più efficace la criminalità che lucra sui traffici di esseri umani».
L’improvvisa apertura di Merkel e Hollande potrebbe essere un modo per arginare le spinte nazionaliste e xenofobe?
«Sicuramente. La deriva populista a cui stiamo assistendo è preoccupante e l’unico modo per farla tacere è mettere in campo una strategia seria, equilibrata. Non possiamo rispondere alla politica malpancista e demagogica della Lega con posizioni di buonismo esasperato al limite del ridicolo. Il risultato di una contrapposizione di slogan potrebbe drammatizzare ulteriormente il problema».
E l’Italia che ruolo gioca in tutto questo?
«Renzi ha segnato una svolta a livello internazionale e se oggi si sono aperti spazi di discussione propositiva è anche merito suo. Ma ribadisco: così come l’Italia ha bisogno dell’Europa, l’Europa ha bisogno del mondo intero».
Anche il Trentino-Alto Adige, in particolare Bolzano, si trova a fronteggiare una situazione molto delicata. Come valuta la tenuta sociale della popolazione?
«Il comportamento di Bolzano mi è sembrato di grande maturità, sia per l’organizzazione che per lo spirito dimostrato dalla comunità. Quanto alla realtà trentina, invece, non sono altrettanto orgoglioso. Sempre più spesso sento parlare di “invasione”, assisto a mobilitazioni prive di senso… Insomma, temo che la solidarietà della quale ci siamo sempre vantati, sia venuta meno o che sia diventata poco più che una solidarietà da vallata».