Minoranze, la dura lotta contro i pregiudizi
Ladini, mocheni e cimbri: tre idiomi, 21.282 persone aggrappate a un’identità difficile da valorizzare
I l problema principale? Mantenere viva la loro lingua. Ladini, mocheni e cimbri raccontano le mille difficoltà con cui difendere e far conoscere la propria identità. «In passato il fattore culturale era preponderante, oggi con la crisi economica la classe politica si concentra soprattutto sugli aspetti finanziari», dice il consigliere provinciale Giuseppe Detomas (Ual).
TRENTO Alla fine, è sempre una questione di identità. Lo sanno bene i ladini, i mòcheni e i cimbri, 21.282 persone in totale, una manciata di teste e storie che tenta di resistere, oggi più che mai, ai diktat della globalizzazione. «Ma non è facile», chiosa Fabio Chiocchetti, direttore dell’Istitut cultural ladin Majon di Fascegn. «Ci siamo battuti molto, in passato, contro le divisioni e le aggressioni esterne, mentre oggi questo senso di appartenenza si è affievolito». riflette, analizzando le tendenze di una popolazione che, secondo l’ultimo censimento provinciale del 2011, è composta da 18.550 residenti in Trentino, pari al 3,5% della popolazione, concentrati soprattutto a Vigo di Fassa e Soraga.
In realtà, con il passare del tempo, le tre comunità di passi avanti ne hanno fatti e anche tanti. A partire dalla legge provinciale del 2008 dedicata proprio alla tutela e alla promozione delle minoranze linguistiche locali. «È un testo fondamentale per noi, con un impianto che ha pochi paragoni in Europa — ammette il direttore — ma bisogna fare di più, utilizzare in modo organico gli strumenti che abbiamo a disposizione, sia a livello legislativo che economico, per investire sulla riscoperta della lingua».
Dopotutto, ogni identità è figlia di un idioma, un modo di comunicare specifico che deriva dal passato e delinea i percorsi futuri. «Ormai si crede poco a questo collante «naturale», si privilegiano le infrastrutture, la viabilità o altro, senza capire che queste valli non esisterebbero senza il ladino», riprende Chiocchetti che alla politica dice: «Le istituzioni sono più attente rispetto al passato, ma la classe dirigente resta impreparata su tante tematiche così si finisce per trattare la lingua alla stregua di un dialetto poco importante. Non è un caso, infatti, che il partito ladino inizi a perdere consensi».
Spetta in primis alla popolazione, invece, difendere la propria origine, secondo Leo Toller, addetto culturale del Kulturinstitut Bersntol, l’Istituto Mòcheno con sede a Palù del Fersina. «Non è facile passare da uno stato di discriminazione all’orgoglio per la propria appartenenza, ma se vogliono sentirsi davvero parte di un’unica comunità e far sì che anche gli altri ne riconoscano il valore, i mòcheni devono impegnarsi molto di più». La popolazione mòchena, infatti, nel 2011, con 1.660 persone, rappresentava appena lo 0,3% dei trentini. Un numero esiguo di parlanti a cui ha fatto eco una progressiva perdita di qualità lessicale: «la lingua è utilizzata in modo sempre meno accurato, per questo stiamo lavorando per terminare il dizionario e abbiamo avviato diverse iniziative volte a favorire il recupero delle tradizioni locali», chiarisce Toller. Per i ragazzi, infatti, l’Istituto ha messo a disposizione la possibilità di impegnarsi come guide turistiche nei musei e chiunque lo desidera può incontrare gli artigiani del posto per riscoprire le antiche lavorazioni, dalla lana al legno. «Anche se oggi — precisa il responsabile — molti mòcheni si dedicano al turismo e al commercio spesso in maniera ambulante, come erano soliti fare in passato raggiungendo il Sudtirolo, territorio a cui la comunità è ancora molto legata».
Viaggia tutta (o quasi) in senso femminile, invece, la minoranza dei cimbri (0,2% della popolazione trentina) composta da 1.072 residenti in gran parte nel Comune di Luserna ma con percentuali significative anche a Folgaria e Lavarone. «Sono le donne le più impegnate sul territorio, gestiscono ristoranti, call center, società di servizi informatici. Sono loro, insomma, a decidere dove abitare e cosa fare», fa presente Anna Maria Trenti Kaufman, direttrice del Kulturinstitut Lusérn, Istituto culturale della comunità. La popolazione cimbra, infatti, è sempre stata spiccatamente matriarcale e oggi non solo recupera questo aspetto, ma si fa portatrice anche di una significativa inversione di tendenza per la natalità. «Il numero delle giovani coppie che si sposa e che ha mediamente 3 o 4 figli è in costante ascesa — sottolinea le direttrice — e questo anche a seguito di una condizione socio economica migliore rispetto al passato».
Ma, anche tra i cimbri, permangono alcune difficoltà: «Per far sopravvivere comunità così piccole è essenziale non tagliare i servizi. Penso alla scuola, ad esempio: la chiusura della materna a Luserna per noi è stato un colpo durissimo. Tutt’oggi, la lingua viene studiata poco e con grande riluttanza. Nonostante i passi avanti degli ultimi anni, infatti, permane ancora un certo pregiudizio nei confronti di questa minoranza», evidenzia Trenti, specificando come i cimbri siano molto frammentati sul territorio. «C’è chi vive qui ma lavora a Trento o viceversa, dunque bisognerebbe pensare a un ampliamento della strada di collegamento perché la mobilità è fondamentale per assicurare il ripopolamento del territorio, specie se si intende recuperare le cosiddetta “generazione perduta”, quella dei figli degli emigranti degli anni ’70 che spesso non conoscono la lingua». Un impegno che la direttrice assicura di voler portare avanti: «Stiamo lavorando per rendere Luserna un ponte fra passato e presente o, per dirla a modo nostro, «a lånt aus vo dar zait»».