GOVERNARE GLI ARRIVI
Era proprio necessario arrivare all’ennesima immagine di morte affinché alcuni politici europei cominciassero a parlare in modo razionale e ragionevole per cercare di individuare soluzione pratiche alla questione drammatica delle sempre più massive migrazioni di uomini, donne e bambini? Da anni si assiste quotidianamente a situazioni umanamente inaccettabili, di persone la cui unica colpa è quella di voler fuggire da una probabile morte e distruzione o per un sacrosanto bisogno di miglioramento delle proprie condizioni di vita. Molte di loro devono pagare somme significative ai trafficanti per intraprendere viaggi particolarmente rischiosi e umilianti. I costi sono ingenti sul piano psicologico, fisico e materiale per i protagonisti, ma anche per gli Stati che alla fine devono predisporre gli interventi di salvataggio e di assistenza — come accade nel mare Mediterraneo — che pesano non poco sui bilanci degli Stati stessi.
Se si vogliono governare le migrazioni nel mondo globalizzato è fondamentale tenere presente che le persone si muovono all’interno di un «sistema mondo» attraversato da flussi finanziari, impostazioni economiche e modelli culturali che producono continuamente connessioni, le quali rendono i diversi contesti territoriali sempre più permeabili.
Le connessioni creano un’apparente integrazione, in realtà caratterizzata da forte asimmetria tra il centro del sistema — nel quale si prendono le decisioni che condizionano la vita dell’intera popolazione mondiale — e una vastissima periferia, che ha scarso o nessun potere contrattuale. In tale quadro la questione primaria ed essenziale è solo una: come governare la legittima richiesta di mobilità che viene dagli abitanti dei luoghi periferici.
A tale proposito sarebbe utile rendere maggiormente praticabili due modalità, già testate in periodi e luoghi diversi.
1) L’allestimento di campi di raccolta dei profughi e sfollati di guerra da trasferire successivamente in Paesi sicuri in base a delle quote. Questo per evitare le tragedie alle quali assistiamo ormai quotidianamente. Per esempio, non si comprende la ragione per cui i profughi siriani che fuggono dalla Siria e passano per la Turchia debbano affrontare estenuanti e drammatiche attraversate per raggiungere la Germania o la Svezia, anziché consentire loro un viaggio meno angosciante evitando così di finire nelle reti dell’illegalità.
2) Il rilascio di visti a coloro che intendono raggiungere l’Europa per lavoro e che dimostrino di avere i mezzi di sostentamento per affrontare un periodo iniziale ragionevole. Del resto sappiamo che molte persone pagano somme rilevanti a trafficanti di esseri umani per attraversare deserti, mari e monti. Visto che in un modo o nell’altro riescono ad arrivare in Europa, perché non regolamentare l’ingresso alla fonte? Ciò permetterebbe di ridurre drasticamente le vittime, togliere opportunità di sfruttamento ai trafficanti e tagliare notevolmente i costi degli interventi di salvataggio nel Mediterraneo. Senza dimenticare che agendo con una simile prospettiva le persone che entrano risulterebbero comunque note alle autorità del Paese.
La questione migratoria, nonostante le immense difficoltà, richiede un cambio di passo e di approccio in grado di percorrere un’altra via che superi sia la perdurante emergenza umanitaria sia la politica dei muri e dei fili spinati. Entrambe — come dimostrano i fatti di ogni giorno — non sono né sufficienti né efficaci per governare i flussi prodotti da quello che viene definito come processo di de-territorializzazione, ovvero lo spostamento delle persone.
Necessario pertanto richiamare tutti a una riflessione serena e pacata su un tema complesso e in continua evoluzione. L’obiettivo da raggiungere non è semplice: elaborare un progetto che riconosca il bisogno di mobilità tra la periferia e il centro del mondo. Provarci, però, è una sfida da affrontare.