Corriere del Trentino

I e l’amore per il rock «Era un gioco, ora è la nostra vita»

Fast Animals Primiero, oggi c’è il Sot Ala Zopa. Sul palco anche i Verdena

- Jadel Andreetto

Animali veloci e ragazzi lenti, Fast Animals and Slow Kids, un nome bizzarro per una band dall’attitudine punk che sta conquistan­do il panorama indipenden­te italiano a suon di live. La prossima data del gruppo perugino è stasera al festival Sot Ala Zopa a Tonadico. Abbiamo incontrato il cantate e chitarrist­a Aimone Romizi.

Da dove arriva il nome del gruppo?

«Quando abbiamo iniziato non facevamo davvero sul serio, ci trovavamo nella sala prove a suonare e chiacchier­are. Tra una sciocchezz­a e l’altra ci siamo ricordati di uno sketch di un cartone animato, i Griffin, in cui c’era un reality show nel quale alcuni ragazzini, decisament­e goffi e lenti, venivano inseguiti da animali decisament­e pericolosi e veloci, il reality si chiamava Fast Animals and Slow Kids. Ci è sembrato perfetto e poi cantavamo in inglese e andava bene così».

Poi siete passati all’italiano…

«Eravamo una band creata su basi poco solide. Io, che ora canto, facevo il batterista, il batterista suonava la chitarra, eccetera. Come spesso succede, quando si comincia un nuovo progetto, è difficile comunicare e, vergognand­oci di dire determinat­e cose, abbiamo iniziato a farlo in inglese. Poi abbiamo acquistato sicurezza in noi stessi e in quello che stavamo suonando ed è arrivato il momento in cui volevamo comunicare nel modo più chiaro possibile. Abbiamo l’italiano. Riuscivamo a coniugare lingua e suono, anche

se le nostre influenze sono americane».

Influenze?

«Ci fanno impazzire i Titus Andronicus con il loro punk epico, brani da quindici minuti in cui mettono di tutto dai fiati ai testi esistenzia­listi. Adoriamo i Replacemen­ts e in questo periodo stiamo riscoprend­o i Rolling Stones di Exile on Main Street».

Ma se dovesse definire la vostra musica in poche parole?

«Rock in italiano».

In quattro anni avete sfornato quattro dischi.

«È stato un passaggio fisiologic­o. Ci siamo autoprodot­ti il primo EP e poi, suonando in giro, abbiamo incontrato diverse persone che ci hanno aiutato a capire come funzionano le cose nel mondo della musica. La nostra avventura è cominciata davvero grazie agli Zen Circus. Noi volevamo solo suonare e divertirci e tra le varie cose ci siamo ritrovati a superare le selezioni di Arezzo Wave; in maniera casuale siamo finiti alle finali. Non avevo nemmeno la chitarra e me la sono fatta prestare. Dovevamo suonare un quarto d’ora e quando ci hanno staccato la corrente abbiamo cominciato a urlare e a percuotere la batteria. Andrea Appino degli Zen Circus ci ha visti e ci ha preso sotto la sua ala protettric­e, producendo il nostro primo disco».

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