La Grande Madre
RICORRENZE IN SETTEMBRE SI FESTEGGIA MARIA
Il mese di settembre è un mese di meditazione su se stessi e il proprio destino nell’Universo.
La millenaria ricerca dell’uomo verso la conoscenza e la comprensione dei fenomeni naturali, lo hanno sempre spinto alla formulazione di un modello che spiegasse in modo rigoroso le leggi della natura. Questo modello fu, all’inizio, una specie di «ars magica» secondo la quale i nostri progenitori, così pericolosamente sospesi nell’universo, alla ricerca di solide radici cui connettere la propria spiritualità sofferente e inappagata, in bilico sul sottile filo della vita, sempre sul punto di spezzarsi, tentarono di fissare in forme, alle volte molto astratte, i messaggi attinenti ai bisogni fisici e psichici, in modo da trovare un aggancio «metafisico» tra sconosciuto e noto, tra conosciuto e misterioso, tra naturale e sovrannaturale. Fu questa la ricerca del sacro, fu la religione? O forse fu la religiosità, che dava la possibilità di trascendere la vita con caratteri di tipo universale? Si pensa così che gli uomini dell’era preistorica venerassero, al di sopra delle forze che dominavano l’universo, una forza in particolare: la Dea Madre, nucleo germinativo, simbolo della fecondità della terra, del nascere e del rinascere, del rinnovarsi della vita, ma anche compagna nell’altro regno, nel regno delle ombre.
Ecco le migliaia di statuette di pietra, d’osso, d’argilla, dai tratti sessualmente evidenti, che documentano il culto del femminile generatore e salvifico. La civiltà alpina era largamente, matriarcale e matrilineare. Queste Grandi Madri, vedi Morrigan, la Grande Regina dei Celti, amministratrice della vita e della morte di tutte le creature, o Raetia dei Reti, dea della Memoria, così umana eppure, per mitica Nemesi, così divina. O Hera, la regina degli dei o Cibele dei Frigi che un tempo non era una dea, ma un sacro monte, utero della Terra. O la Matuta Mater italica, assisa su imponenti troni. Solo per nominare alcune delle Grandi Madri, tutte madri di un figlio divino.
L’avanzata del cristianesimo finì per realizzare una «simbiosi» fra religiosità autoctona e la nuova religione. Ciò portò a una serie di culti nei quali alla Grande Madre si sostituì Maria. Non dimentichiamo la perenne attualità di questo mito salvifico confluito nella tradizione giudaico-cristiana dove la Beata Vergine Maria è Madre della Chiesa perché ha dato vita a Gesù di Nazareth, il figlio di Dio.
Ma quali sono i volti di Maria che il cristianesimo ci ha consegnato e quali sono le date che la ricordano e commemorano. Due principalmente: l’8 settembre, nascita di Maria e il 12 settembre, nome di Maria. La migliore descrizione di Maria è, a mio parere, quella di Dante nel canto XXXIII del Paradiso. Nei versi danteschi è concentrata tutta la tradizione teologica mariana, da cui il poeta infatti riprese Maria come la persona in cui si risolvono i paradossi terreni irrisolvibili («Vergine Madre,/figlia del tuo figlio»), la creatura umilissima eletta da Dio nell’eternità per la salvezza degli uomini, colei che è amata assolutamente, infinitamente e incondizionatamente dal Padre e dal Figlio, la «MaterDei» nella e della storia, distributrice di carità per i beati e di speranza per gli uomini, la necessaria mediatrice dell’ottenimento di ogni grazia, colei per la quale Dio giunse al punto di prender su di sé la carne dell’uomo, la persona in cui si ricongiungono la perfezione ideale di una dea e la concretezza fisico-storica di una creatura. E i volti di Maria che la tradizione popolare ci ha consegnato sono la dolcezza dei ritratti di Maria madre di un bimbo piccolo, fino al dolore infinito di Maria che accoglie nelle sue braccia il figlio morto. Oppure Maria come una grande regina.
Ma chi fu Maria di Nazareth? Cominciamo dall’inizio, dalla sua nascita. L’8 settembre, quando l’uva e gli altri frutti sono pronti per il raccolto, nella pienezza dell’estate, si celebra la Natività di Maria. La nascita della Vergine non è narrata nei Vangeli canonici, ma da quelli Apocrifi, primo fra tutti il Protovangelo di Giacomo, (V, 2) dove si narra che quando Anna partorì la Vergine domandò alla levatrice: «Che cosa ho messo al mondo?» E la levatrice rispose: «Una femmina». Allora Anna esclamò: «Oggi la mia anima e stata magnificata». Anna si purificò, diede la poppa alla bimba e poi le pose il nome di Maria». Il Vangelo armeno dell’Infanzia (II, 7) narra che la gravidanza di Anna fu di 210 giorni, cioè sette mesi «improvvisamente alla settima ora Anna mise al mondo la sua santa bambina, il ventunesimo giorno del mese di eul, che è, tradotto nel nostro calendario, l’8 di settembre». E qui lasciatemi giocare con i numeri: il numero 7 , come il suo multiplo 21, non è casuale. Il 7 corrisponde all’ultimo giorno della creazione, cioè, nella Genesi, indica un ciclo concluso. Il 21 (3x7) è la cifra della perfezione, come indica il Libro della Sapienza nell’Antico Testamento.
E chi quindi «nella pienezza del tempo», nella perfezione può iniziare l’opera della salvezza? Così Maria diventa «l’aurora annunciatrice del giorno che già sorge dietro le colline eterne — come scriveva il cardinale Schuster — è il mistico pollone che spunta dalla veneranda radice di Jesse, è il fiume nuovo che sgorga dal paradiso è si appresta a irrorare il mondo intero, è il simbolo del vello che fu disteso sul suolo arido della nostra terra per raccogliere la prodigiosa rugiada». Maria è la novella Eva, cioè la vita e la madre dei viventi che in questo giorno nasce per coloro che prima di lei «ebbero Eva come madre del peccato e della morte».
Ave maris stella, Dei Mater alma. Atque semper virgo. Felix caeli porta. Sumens illud ave. Gabrielis ore. Funda nos in pace. Mutans Evae nomen.
Nell’antichità Fin dalla preistoria gli uomini veneravano una divinità femminile, simbolo di fecondità Sincretismo Con il Cristianesimo questa figura ha preso le sembianze della Madonna