IL GIOVANE RTAIB «I MUSULMANI SI RACCONTINO»
Rtaib : «I giovani vivano la doppia identità. Dialogo contro la fobia»
«I musulmani si raccontino, la via è il dialogo». Sono parole di Abedelbakki Rtaib, presidente della sezione trentina dei Giovani musulmani. «I giovani nati in Italia devono imparare a viveva la loro doppia identità. Il dialogo smantella le fobie».
Ha 23 anni appena, eppure analizza gli schemi odierni dell’incontro interreligioso attraverso una grammatica filosofica che pare aggiornare l’orizzonte inclusivo tracciato da Hannah Arendt. Abedelbakki Rtaib, presidente della sezione trentina dei Giovani musulmani d’Italia, ha vissuto il climax del pregiudizio: «Quando ero alle elementari mi chiamavano marocchino per prendermi in giro, in seguito all’11 settembre sono diventato islamico». Alle discriminazioni semplicistiche risponde senza retorica e senza rancore, suggerendo la via del dialogo. «Anche quest’anno — dice presentando le attività 2015/2016 — saremo in prima fila nella formazione giovanile, volta al consolidamento delle conoscenze religiose individuali, all’incentivazione del lavoro di gruppo, in comunità e nella società nella quale siamo cresciuti, quella trentina». A partire dal 26 settembre, la sede di via Soprasasso ospiterà così eventi perlopiù educativi: storia, attualità, spiritualità islamica sono solo alcuni dei filoni affrontati.
Rtaib, con l’inizio dell’anno scolastico riprendono le attività dell’associazione: quali sono gli appuntamenti?
«Cominceremo sabato 26 con l’evento di apertura: alle 18, in via Soprasasso negli spazi del Centro islamico, presenteremo sia ai genitori dei giovani sia alla comunità tutta gli obiettivi e il programma annuale. Poi, ogni domenica, partiremo con lezioni e corsi di formazione. Il nostro programma è strutturato su tre fronti: spiritualità islamica, storia, attualità, per favorire il senso di appartenenza alla cittadinanza italiana. Inoltre cercheremo di sviluppare le competenze per accedere al mondo del lavoro».
Quanti giovani partecipano all’attività dell’associazione e di quali età parliamo?
«L’età, da statuto, oscilla dai 14 ai 30. Ma la media in base alle attività che facciamo si attesta tra i 17 e i 23 anni. Solitamente le lezioni-eventi che organizziamo sono frequentate da circa 20-25 ragazzi, ma le attività più grosse coinvolgono anche 100 giovani».
Oltre a essere un’occasione di aggregazione per gli aderenti, l’associazione è ponte e spazio d’incontro interreligioso. Cosa significa, oggi, cercare di superare i facili stereotipi sull’Islam? Cosa la fa soffrire di più?
«Innanzitutto dobbiamo pensare ai ragazzi nati e cresciuti in Italia: è necessario dare loro identità, spiegare cosa significa essere musulmani italiani. Quando sappiamo cosa siamo, allora lo sappiamo anche spiegare agli altri, senza contraddizioni e senza paura. Chi ha le idee chiare soffre poco gli stereotipi perché li sa smontare, li sa chiarire. Chi soffre è strattonato tra due culture».
Lei che è cresciuto in Italia ha notato un cambiamento nel corso degli anni? Quanto poco si sa dell’Islam?
«Ci sono stati periodi in cui c’era maggiore pressione discriminatoria e periodi più distesi. Mi ricordo in quinta elementare che i bambini mi prendevano in giro dandomi del marocchino; dopo l’11 settembre invece sono diventato islamico. Poi una fase di stasi e ora con l’avvento dell’Isis ricominciano le pressioni».
Senza voler dare facili ricette: come si può sgretolare il muro del pregiudizio?
«Attraverso il dialogo e attraverso l’apertura: noi come musulmani dobbiamo raccontare chi siamo. Ci possono descrivere come vogliono, ma se abbiamo un collega, un vicino di casa con cui ci confrontiamo nella quotidianità allora crolla il palco. Poi subentra il dialogo che formalizza la coesistenza. Ma la maggior parte del lavoro è fra concittadini».
Esperienza Chi ha le idee chiare sulla propria soggettività soffre poco gli stereotipi perché li sa smontare