LA RIFORMA DEL SENATO E L’ELEZIONE DIRETTA
Non si può dire che nei primi decenni di vita dello stato repubblicano, il «bicameralismo perfetto» abbia sollevato particolari contestazioni. Non certo da parte della Democrazia cristiana che se ne è avvalsa per ritardare di lustri la realizzazione di essenziali istituti previsti dalla Carta fondamentale, come la Corte costituzionale e le Regioni; ma nemmeno dallo schieramento di sinistra, egemonizzato dal Partito comunista, in linea di massima assertore del monocameralismo, ma indotto dalla contingenza politica a considerare la seconda Camera come una garanzia contro i rischi di sopraffazione ad opera dei blocchi di centro o di centrodestra, stabilmente insediati al governo.
Quando invece, con la fine dei blocchi, anche in Italia il potere divenne contendibile, e si rese nel contempo evidente la necessità di profonde riforme e di governi stabili in grado di realizzarle, i vizi del bicameralismo pesarono in misura sempre più insostenibile. Se oggi guardiamo ad esso, purtroppo ancora in vigore, considerando nel contempo le realtà costituzionali degli altri stati democratici, abbiamo modo di constatarne l’abnormità.
Se si volesse cercare nella storia costituzionale il precedente di due organi eletti direttamente dal popolo ai vertici dello stato, ma distinti e autonomi, ancorché investiti di identici poteri, si dovrebbe guardare ad un unico, ancorché illustre precedente: i consoli romani dell’età repubblicana. Anch’essi erano eletti direttamente dal popolo, anch’essi erano figure distinte e autonome, anch’essi avevano identici poteri. Tuttavia le analogie finiscono qui. Secondo il principio dell’indivisibilità dell’imperium, ciascun console concentrava nelle sue mani i poteri dello stato, indipendentemente dall’altro, e nel caso eccezionale di copresenza e di contrasto fra essi, il potere veniva assunto a giorni alterni.
Nell’ordinamento italiano invece, il potere deve essere esercitato in modo congiunto cosicché ogni atto — dalla fiducia ai governi, all’approvazione delle leggi — deve essere di identico contenuto, ma separatamente espresso dai due collegi. È superfluo soffermarsi sugli effetti di rallentamento e di blocco delle attività di governo, e dell’intera vita della nazione che da questo sistema deriva. La sua abnormità emerge anche considerando la legittimazione popolare che sta alla base del Senato. Sembra un’istituzione creata per frenare i «giovanilismi» della «Camera bassa». Per essere eletti senatori bisogna avere un’età minima di 40 anni (per il presidente degli Stati Uniti ne bastano 35); né possono concorrere alla elezione del Senato i cittadini che non abbiano compiuto i 25 anni. Se a questa insensata duplicazione, di sapore gerontocratico, che incredibilmente costituisce l’elemento distintivo fondamentale del bicameralismo, si aggiungono gli altri effetti perversi, sarebbe da concludere che il Senato deve essere hic et nunc soppresso.
Esiste, però, un grande vuoto nell’ordinamento costituzionale italiano che deve essere colmato. Le istituzioni autonomistiche, eredi dei Comuni e degli stati regionali da cui è nata la civiltà e l’identità nazionale italiana e il grande patrimonio culturale del nostro paese, sono stati finora sostanzialmente solo oggetto delle scelte e delle disposizioni dello stato centrale. Una seconda Camera, quella delle autonomie, che abbia voce in capitolo, e partecipi alla legislazione in questo campo vitale dei nostri assetti costituzionali, come avviene col Bundesrat nella Repubblica federale tedesca, darebbe finalmente un senso all’esistenza di due corpi legislativi.
Ma è proprio su questo tema che si scatena oggi la battaglia di quanti, con fini diversi, evocando un democraticismo di maniera, rivendicano l’elezione diretta di questa seconda Camera. Il che appare davvero un controsenso. Se una seconda Camera deve rappresentare le autonomie, non può essere composta da rappresentanti eletti dal corpo elettorale, poiché in tal caso, gli eletti sarebbero espressione solo della massa degli elettori, come accade oggi, e non delle istituzioni di autogoverno territoriale. Solo i rappresentanti di queste hanno titolo, le conoscenze, e la concreta possibilità di portare nella seconda Camera, i valori, l’esperienza, gli interessi e la volontà delle variegate realtà territoriali in cui si articola il nostro Paese. Questo ci insegna l’esperienza del bicameralismo tedesco.
Contro la riforma costituzionale si sviluppa poi una campagna diretta a contestarne la necessità e l’urgenza. È una propaganda ingannevole che, in consonanza con quella per l’elezione diretta, avrebbe l’effetto di bloccare la riforma. Bisogna fin d’ora valutare quali ne sarebbero le conseguenze. L’Italia e l’Europa stanno ora uscendo faticosamente da una crisi gravissima rispetto alla quale si sono dimostrate inadeguate. Ma ora ne incombe un’altra, quella dei milioni di profughi. L’Europa e l’Italia devono riformarsi per affrontare le nuove sfide.
Un’Italia rimasta anatra zoppa in un’Europa in travaglio, sarebbe il peggio che potremmo aspettarci.
Coerenza «Una seconda Camera, quella delle autonomie, che abbia voce in capitolo, darebbe finalmente un senso all’esistenza di due corpi legislativi»