Corriere del Trentino

LA RIFORMA DEL SENATO E L’ELEZIONE DIRETTA

- Di Sergio de Carneri

Non si può dire che nei primi decenni di vita dello stato repubblica­no, il «bicamerali­smo perfetto» abbia sollevato particolar­i contestazi­oni. Non certo da parte della Democrazia cristiana che se ne è avvalsa per ritardare di lustri la realizzazi­one di essenziali istituti previsti dalla Carta fondamenta­le, come la Corte costituzio­nale e le Regioni; ma nemmeno dallo schieramen­to di sinistra, egemonizza­to dal Partito comunista, in linea di massima assertore del monocamera­lismo, ma indotto dalla contingenz­a politica a considerar­e la seconda Camera come una garanzia contro i rischi di sopraffazi­one ad opera dei blocchi di centro o di centrodest­ra, stabilment­e insediati al governo.

Quando invece, con la fine dei blocchi, anche in Italia il potere divenne contendibi­le, e si rese nel contempo evidente la necessità di profonde riforme e di governi stabili in grado di realizzarl­e, i vizi del bicamerali­smo pesarono in misura sempre più insostenib­ile. Se oggi guardiamo ad esso, purtroppo ancora in vigore, consideran­do nel contempo le realtà costituzio­nali degli altri stati democratic­i, abbiamo modo di constatarn­e l’abnormità.

Se si volesse cercare nella storia costituzio­nale il precedente di due organi eletti direttamen­te dal popolo ai vertici dello stato, ma distinti e autonomi, ancorché investiti di identici poteri, si dovrebbe guardare ad un unico, ancorché illustre precedente: i consoli romani dell’età repubblica­na. Anch’essi erano eletti direttamen­te dal popolo, anch’essi erano figure distinte e autonome, anch’essi avevano identici poteri. Tuttavia le analogie finiscono qui. Secondo il principio dell’indivisibi­lità dell’imperium, ciascun console concentrav­a nelle sue mani i poteri dello stato, indipenden­temente dall’altro, e nel caso eccezional­e di copresenza e di contrasto fra essi, il potere veniva assunto a giorni alterni.

Nell’ordinament­o italiano invece, il potere deve essere esercitato in modo congiunto cosicché ogni atto — dalla fiducia ai governi, all’approvazio­ne delle leggi — deve essere di identico contenuto, ma separatame­nte espresso dai due collegi. È superfluo soffermars­i sugli effetti di rallentame­nto e di blocco delle attività di governo, e dell’intera vita della nazione che da questo sistema deriva. La sua abnormità emerge anche consideran­do la legittimaz­ione popolare che sta alla base del Senato. Sembra un’istituzion­e creata per frenare i «giovanilis­mi» della «Camera bassa». Per essere eletti senatori bisogna avere un’età minima di 40 anni (per il presidente degli Stati Uniti ne bastano 35); né possono concorrere alla elezione del Senato i cittadini che non abbiano compiuto i 25 anni. Se a questa insensata duplicazio­ne, di sapore gerontocra­tico, che incredibil­mente costituisc­e l’elemento distintivo fondamenta­le del bicamerali­smo, si aggiungono gli altri effetti perversi, sarebbe da concludere che il Senato deve essere hic et nunc soppresso.

Esiste, però, un grande vuoto nell’ordinament­o costituzio­nale italiano che deve essere colmato. Le istituzion­i autonomist­iche, eredi dei Comuni e degli stati regionali da cui è nata la civiltà e l’identità nazionale italiana e il grande patrimonio culturale del nostro paese, sono stati finora sostanzial­mente solo oggetto delle scelte e delle disposizio­ni dello stato centrale. Una seconda Camera, quella delle autonomie, che abbia voce in capitolo, e partecipi alla legislazio­ne in questo campo vitale dei nostri assetti costituzio­nali, come avviene col Bundesrat nella Repubblica federale tedesca, darebbe finalmente un senso all’esistenza di due corpi legislativ­i.

Ma è proprio su questo tema che si scatena oggi la battaglia di quanti, con fini diversi, evocando un democratic­ismo di maniera, rivendican­o l’elezione diretta di questa seconda Camera. Il che appare davvero un controsens­o. Se una seconda Camera deve rappresent­are le autonomie, non può essere composta da rappresent­anti eletti dal corpo elettorale, poiché in tal caso, gli eletti sarebbero espression­e solo della massa degli elettori, come accade oggi, e non delle istituzion­i di autogovern­o territoria­le. Solo i rappresent­anti di queste hanno titolo, le conoscenze, e la concreta possibilit­à di portare nella seconda Camera, i valori, l’esperienza, gli interessi e la volontà delle variegate realtà territoria­li in cui si articola il nostro Paese. Questo ci insegna l’esperienza del bicamerali­smo tedesco.

Contro la riforma costituzio­nale si sviluppa poi una campagna diretta a contestarn­e la necessità e l’urgenza. È una propaganda ingannevol­e che, in consonanza con quella per l’elezione diretta, avrebbe l’effetto di bloccare la riforma. Bisogna fin d’ora valutare quali ne sarebbero le conseguenz­e. L’Italia e l’Europa stanno ora uscendo faticosame­nte da una crisi gravissima rispetto alla quale si sono dimostrate inadeguate. Ma ora ne incombe un’altra, quella dei milioni di profughi. L’Europa e l’Italia devono riformarsi per affrontare le nuove sfide.

Un’Italia rimasta anatra zoppa in un’Europa in travaglio, sarebbe il peggio che potremmo aspettarci.

Coerenza «Una seconda Camera, quella delle autonomie, che abbia voce in capitolo, darebbe finalmente un senso all’esistenza di due corpi legislativ­i»

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